POLIZIA NELLA STORIA

Posts written by giacal

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    Una Bodeo (in basso) e un rarissimo revolver a spillo Lefaceaux per le Guardie di Città.
    Manette dei tre tipi: catenelle, schiavettoni e braccialetti.
    Credits: Flavio Dalla Libera
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    Una rara foto della mod. 51 versione "A".
    Per far fronte a esigenze operative di corpi militari e reparti speciali di polizia, negli anni 70 si realizzò questo modello a raffica libera che ebbe poco successo per il "consumo" eccessivo di munizioni.
    E' l'antenata della Beretta 93 R a raffica controllata di tre colpi.
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    Fonte: quotidiano "Il Veneto", 4 settembre 1914.

    "Formose peccatrici" ed altri accidenti....
    Notare che all'epoca la privacy era molto rispettata!
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    Fonte: quotidiano "Il Bacchiglione" del 24 luglio 1875.

    Baruffe chiozzotte, titolava il quotidiano. Ma non si trattava della nota commedia di Carlo Goldoni!
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    Fonte: quotidiano "Il Veneto" del 1 settembre 1890

    Gran daffare per la Regia Questura di Padova!
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    Fonte: sconosciuta.

    Militari, borghesi e ragazze... cantava una canzone della goliardia! Se a ciò si aggiungono fiumi di vino, il finale non può che essere uno solo!
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    Fonte: Il Gazzettino del 4 luglio 1950.

    Scandalo al sole! Ma la solerte Buoncostume vi pone draconiano rimedio!
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    Fonte: quotidiano "Il Bacchiglione", 15 gennaio 1878.

    Il crimine serpeggia e le guardie.... dove sono????
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    Fonte: quotidiano "Il Bacchiglione", 18 giugno 1878.

    L'amore ai tempi della censura!
    E dopo i "colombi dal desìo rapiti", eccone altri due "tubeggiare" sulla pubblica via! Ma le zelanti guardie trovarono loro una collocazione più consona....
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    Fonte: quotidiano “Il Bacchiglione” del 8.1.1879.

    Quando i villani scendevano in città c’era da aspettarsi di tutto! Come sempre, i cronisti dell’Ottocento erano qualcosa di insuperabile!
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    Fonte: quotidiano "Gazzetta di Venezia" del 6 dicembre 1939.

    Mai fidarsi di chi non si fida!
    Un giovanotto che, per giustificare la sua bravata, si arrampica sugli specchi... finendo tuttavia in un mare di guai!
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    Fonte: quotidiano "Gazzetta di Venezia" del 26 ottobre 1892.

    Grande operazione di polizia per un ladro.... di caffè!
    Questo articolo, scritto con la magistrale penna di fine Ottocento, oggi può far sorridere. Ma non dimentichiamo che il codice penale dell'epoca non prevedeva la denuncia a p.l. se non in rarissimi casi.
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    Fonte: quotidiano "Il Lavoro" del 20 luglio 1911.

    Una vicenda di cronaca che va incasellata nella peculiarità del tempo in cui è avvenuta.
    Va detto che "Il Lavoro" in quegli anni era un quotidiano di spiccata natura di sinistra e anticlericale: i suoi giornalisti non mancavano mai di riservare particolari contumelie e critiche al vetriolo alla polizia dell'epoca, tanto da riservare in cronaca una rubrica intitolata "Nelle grinfie dei questurini", in cui si dava spazio alle principali operazioni della questura genovese, ma che dal titolo mirava a far passare la forza pubblica come un manipolo di sanguinari.
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    Categoria: Personaggi
    Anno: primi anni sessanta
    Luogo: Belluno, caserma sezione Polizia Stradale
    Oggetto: guardia di P.S. Gino Maresia, classe 1927 da Forni di Sopra UD , appartenente alla sezione Polizia Stradale di Belluno, capo-equipaggio della prima pattuglia giunta a Longarone il 9.X.63 sul disastro del Vajont
    Fonte: Lorenzo della Frattina , per gentile concessione

    Riportiamo il testo della relazione di servizio redatta in occasione del primo intervento della pattuglia comandata da Gino Maresia sul luogo della tragedia del Vajont, a pochi minuti dall'ondata che cancellò Longarone e i paesi limitrofi.

    SD-1963-9-ottobre-relazione-polstrada-disastro-vajont-by-rinelli
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    di Gianmarco Calore

    Diventa inevitabile, nel trattare la storia evolutiva della polizia italiana, parlare della convivenza per molti aspetti forzata durante il periodo del Ventennio tra quella che definiremmo la Polizia "tradizionale" (e quindi i funzionari della Direzione Generale della P.S. e l'articolazione militare sul territorio, il Corpo degli Agenti di P.S.) e le organizzazioni genericamente "di polizia" incardinate nel regime, queste ultime essenzialmente con funzioni di controllo della popolazione in chiave di repressione dei movimenti antifascisti.

    Per farlo, non possiamo non partire dalla prima figura, probabilmente la più importante visti il "peso" che ebbe nella storia del PNF e l'ascendente che esercitò sullo stesso Mussolini: parliamo di Arturo Bocchini, che Domizia Carafoli e Gustavo Bocchini Padiglione arrivarono a definire addirittura "il vice-duce" nel titolo di un loro libro edito da Rusconi.

    Nato nel 1880, aderisce fin dalla prima ora al Fascismo e percorre la carriera prefettizia fino a essere nominato nel 1926 Capo della Polizia.
    Tale qualifica non deve trarre in inganno. Soprattutto perchè si discosta dalla figura del Direttore Generale della Pubblica Sicurezza incardinato nel Ministero dell'Interno nella misura in cui essa bypassa tutta la catena gerarchica sovrastante. Mentre infatti il Direttore Generale della Pubblica Sicurezza è incardinato in una stretta gerarchia di tipo politico, dovendo riferire al Capo del Governo solo attraverso la mediazione del Sottosegretario all'Interno prima e del Ministro dell'Interno poi, Arturo Bocchini come "Capo della Polizia" ebbe un rapporto diretto con Mussolini, con il quale, fino almeno alla metà degli anni Trenta, aveva contatti personali quotidiani che lo misero subito in astio con le strutture di governo tradizionali: un pratico escamotage linguistico che tuttavia gli assicurò per 14 anni poteri sempre più ampi.

    Arturo_Bocchini_ca1900


    Una rara immagine giovanile di Arturo Bocchini, scattata attorno al 1900



    La sua nomina a Capo della Polizia arriva il 13 settembre 1926 su diretto interessamento di Luigi Federzoni a seguito del fallito attentato a Mussolini da parte dell'anarchico Gino Lucetti avvenuto appena due giorni prima e che costerà il posto al predecessore di Bocchini, Francesco Crispo Moncada. Lo scopo di tale nomina fu quello di creare un'organizzazione investigativa parallela a quella già esistente presso il Ministero dell'Interno, la quale poteva disporre dei più ampi poteri decisionali, sovrapassando addirittura gli stessi Prefetti e Questori del Regno che si videro così esautorati da quella necessaria condivisione di informazioni tra organi di governo. Ma il 31 ottobre dello stesso anno la carriera di Bocchini corre il primo serio rischio di rovina a causa di un nuovo fallito attentato al Duce per mano del giovane Anteo Zamboni, che verrà linciato sul posto. Mussolini non ne chiede la testa giustificando l'evento indipendente dall'attitudine del Capo della Polizia insediatosi da troppo poco tempo.

    La prima risposta di Bocchini fu la creazione a Milano, nel 1927, della Divisione di Polizia Politica Fascista con il suo "braccio operativo" costituito dall'O.V.R.A., il significato del cui acronimo non è tuttora perfettamente condiviso dagli storici: c'è chi infatti lo definisce Organismo Volontari Repressione Antifascismo, chi invece Organo Vigilanza Repressione Antifascismo. Sta di fatto comunque che questa articolazione, che riceve fin dagli esordi massimo impulso, estende le sue ramificazioni in tutta Italia attraverso una fitta rete di infiltrati nelle organizzazioni sociali di tutti i tipi e, più in generale, attraverso le delazioni rese da un'altrettanto fitta rete di informatori, dei quali venivano spesso sfruttate le precarie condizioni sociali ed economiche: un esempio fu l'avvocato friulano Carlo Del Re, collaboratore del movimento "Giustizia e Libertà", il quale offrì all'O.V.R.A. i suoi servigi in cambio del risanamento dei numerosi debiti di cui era oberato.

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    Arturo Bocchini assieme al capo della polizia nazista Kurt Daluenge durante il passaggio in rassegna di alcuni reparti schierati



    Da molti storici Arturo Bocchini viene definito un funzionario che precorre i suoi tempi di almeno trent'anni: elegante, colto, esperto conoscitore del tessuto sociale italiano, ma anche amante della buona tavola e delle belle donne, egli introduce un nuovo stile nella conduzione della polizia politica mai visto in precedenza, in contrasto con quello decisamente più "sanguigno" (e sanguinario) che caratterizza gli esponenti fascisti fin dalla prima ora. Sa infatti distinguere molto bene le situazioni e i soggetti particolarmente pericolosi per la sicurezza dello Stato da quelli che, sebbene animati da sentimenti antifascisti, pericolosi non lo saranno mai, adottando nei confronti dei primi atteggiamenti e provvedimenti di estrema durezza e restando più "morbido" nei confronti dei secondi. Questo particolare si vede alla fine del 1926 quando, con una gigantesca operazione di polizia, Arturo Bocchini ordina l'arresto di tutti i deputati comunisti, tra i quali Antonio Gramsci.

    Il primo bersaglio contro cui l'O.V.R.A. si scaglia è naturalmente il Partito Comunista, organizzazione capillarmente radicata sul territorio e in effetti l'unica in grado di riorganizzarsi anche all'estero in regime di clandestinità. Tuttavia anche il gruppo "Giustizia e Libertà", creato da antifascisti riparati all'estero quali Carlo Rosselli ed Emilio Lussu: di tale movimento Bocchini rileva fin da subito con lungimirante preveggenza tutta la pericolosità intrinseca e la storia gli darà ragione poichè "Giustizia e Libertà" diventa ben presto il movimento antifascista di matrice non comunista più importante.

    La tecnica adottata da Bocchini in questo ambito mira a colpire direttamente le grosse cariche di partito senza mettere in subbuglio i quadri intermedi, ai quali concesse un margine di manovra unicamente in una funzione anti-allarmistica per il partito stesso. Tale lotta diventa ancora più impari a causa della promulgazione delle c.d. "leggi fascistissime" con le quali vengono sciolti tutti i partiti politici e le organizzazioni sindacali, viene creato il Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato (vi vengono deferite complessivamente circa 5000 persone con sentenze che arrivano complessivamente a più di 30000 anni di carcere, con 33 condanne alla pena capitale delle quali 22 eseguite), viene introdotta la misura del confino (con circa 10000 persone sottoposte alla misura dal 1927 fino al 1943) e ripristinata la pena capitale. Nello stesso momento viene creato il Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza che offre a prefetti e questori ampi poteri decisionali e di controllo per la tutela dell'ordine pubblico.

    Parallelamente alla lotta all'antifascismo, Bocchini crea una struttura dedicata chiamata Squadra Presidenziale Esterna, costituita da uomini sceltissimi con il compito esclusivo di scorta e tutela del Duce. Il dispositivo dovette essere particolarmente efficace poichè dopo l'attentato di Anteo Zamboni Mussolini non ne patì di ulteriori.

    Mussolini mostra apertamente di apprezzare l'opera investigativa e informativa espletata dagli Ispettorati di Polizia alle dirette dipendenze di Arturo Bocchini. Quest'ultimo, nel 1930, chiede e ottiene l'autorizzazione di estendere la loro opera a tutto il territorio nazionale raggiungendo probabilmente in quel momento il massimo del suo potere di controllo e repressione. La gigantesca mole di informazioni che inizia a essere convogliata verso le strutture centrali viene organizzata in un archivio parallelo a quello già esistente presso il Ministero e specializzato in raccolte nei famigerati "fascicoli verdi" di informazioni sempre più approfondite e personali praticamente su chiunque (grado di cultura, attitudini e capacità professionali, inclinazioni politiche, caratteristiche fisiche, psichiche, morali e perfino di orientamento sessuale).

    Una tale capillare attività di informazione ottiene ben presto i risultati voluti: negli anni Trenta l'antifascismo militante è ridotto ai minimi storici e anche le formazioni più "vivaci" sono ormai state disarticolate. Da questo momento - siamo nel 1932 - Arturo Bocchini indirizza le attenzioni investigative verso gli apparati interni dello Stato, al fine di individuare e stroncare eventuali germogli delle idee antifasciste tra gli stessi aderenti al PNF, misurandone la lealtà al partito. Da quel momento non c'è funzionario o gerarca fascista la cui vita privata non venga passata al setaccio. Il primo caso fu quello del sottosegretario all'interno Giacomo Suardo che, nonostante la sua posizione che lo avrebbe dovuto collocare fuori da ogni sospetto, si accorse di essere "attenzionato" dall'O.V.R.A. e che perciò scrisse una lettera di vibrata protesta proprio al Duce. Lo stesso Roberto Farinacci, accortosi delle indagini sulla sua persona, pretese dal Duce un intervento risolutivo per la limitazione di simili poteri.

    In quel periodo si sviluppa in Italia la più massiccia attività di osservazione, controllo, pedinamento e intercettazione a carico non solo dei vari esponenti di partito, ma anche degli stessi funzionari, ministri e parlamentari le cui informazioni venivano riferite sempre e solo a Mussolini, scavalcando palesemente prefetti e questori spesso ignari che sul territorio di loro competenza era in atto una simile operazione: addirittura, ai prefetti era impedito di inoltrare denunce al Tribunale Speciale senza che tale inoltro fosse autorizzato dallo stesso Bocchini che in questo modo volle impedire un uso strumentale dell'azione repressiva che poteva essere condizionata dalle gerarchie locali del partito.

    Tali malumori sfociano in iniziative poste in essere dalle alte gerarchie di partito, stanche di queste palesi intrusioni nelle loro vite private. Lo stesso Starace tenta a più riprese di convincere Mussolini a diradare gli incontri quotidiani con Bocchini e a fondare una propria Polizia di Partito, con la chiara intenzione di sostituirla a quella comandata da Bocchini stesso: Mussolini non aderirà mai a questa proposta, limitandosi a fissare gli incontri col Capo della Polizia una volta a settimana. Anche il nuovo sottosegretario agli Interni Guido Buffarini Guidi - probabilmente il nemico più dichiarato di Arturo Bocchini - cercò in tutti i modi di contenerne i poteri ormai esorbitanti costringendolo all'interno dei confini istituzionali previsti per il ruolo di Direttore Generale della Pubblica Sicurezza. Anche a questo non si arrivò comunque mai.

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    Una rara immagine di Arturo Bocchini al suo tavolo di lavoro



    In questa "corsa al rialzo" della tensione istituzionale Bocchini - accortosi di essersi inimicato anche le principali articolazioni del potere esecutivo costituite da prefetti e questori - rispose avvicinandosi a Galeazzo Ciano, genero del Duce, nella speranza di conservare le potestà che Mussolini gli aveva concesso. La sua figura iniziò tuttavia ad appannarsi, raggiungendo il minimo storico alla vigilia dell'entrata in guerra dell'Italia quando Bocchini portò all'attenzione del Duce i risultati di un'attività informativa che segnalava la contrarietà all'impegno bellico da parte della maggioranza degli italiani. Lo stesso Bocchini - come confermato da Leto e Senise - non fece mistero della sua personale contrarietà all'entrata in guerra dell'Italia, avendone già capito il tragico epilogo. Al riguardo viene riportato un evento solo in apparenza marginale, ma che alla luce degli avvenimenti successivi ha, a parere di chi scrive, la sua importanza: quando Bocchini si recò dal Duce per consegnare i risultati dei sondaggi in senso negativo, si trovo di fronte proprio a Starace che aveva fatto la stessa cosa, riportando però a Mussolini risultati diametralmente opposti. Si dice che nell'anticamera i due vennero quasi alle mani. Leto scrive nelle sue memorie che, al rientro nel proprio ufficio da questa accesa trasferta, Bocchini abbia addirittura staccato l'immagine del Duce dalla parete calpestandola sotto i piedi e gridando: "Sei un pazzo! Sei un pazzo! Porterai l'Italia alla rovina!"

    La strategia investigativa di Arturo Bocchini, tanto invisa alle gerarchie fasciste, fu invece ammirata e presa ad esempio dagli organi della polizia nazista comandata da Heinrich Himmler che nel 1936 promosse al riguardo un protocollo d'intesa tra le forze di polizia di Italia e Germania finalizzati allo scambio di informazioni e tecniche investigative. Ciò nonostante, Bocchini terrà sempre a debita distanza i suoi omologhi tedeschi avendo capito che la loro soffocante ingerenza avrebbe costituito un pericolo per la struttura da lui gestita. Soprattutto capì che l'interscambio di informazioni con l'alleato sarebbe stato solo a senso unico, a vantaggio di quest'ultimo e che la polizia italiana da quella tedesca non avrebbe ricavato alcuna contropartita.

    Il 20 novembre 1940 Arturo Bocchini si reca a pranzo in un albergo di Roma. Come suo uso, indugia approfonditamente negli aspetti enogastronomici e fa quindi rientro a casa nell'allora viale delle Milizie dove viene colto da un improvviso malore. Prima di morire, due giorni dopo, sposa in articulo mortis la sua compagna. Su questo luttuoso avvenimento non è mai stata fatta la necessaria chiarezza: alcuni familiari - in particolare una nipote - sollevarono il sospetto di un possibile avvelenamento come estrema vendetta ordita dai suoi tanti nemici. La tesi dell'avvelenamento non fu tuttavia mai comprovata e la morte di Arturo Bocchini deve considerarsi come avvenuta per cause naturali.

    Fonti consultate:
    - Mauro Canali, Le spie del Regime, ed. Il Mulino 2004;
    - Mimmo Franzinelli, I tentacoli dell'OVRA, Bollati Boringhieri 2020
    - Paola Carucci, Ferdinando Cordova, Uomini e volti del Fascismo, Bulzoni 1980

    Edited by giacal - 10/10/2023, 18:42
424 replies since 17/11/2019
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