La nascita del 113

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    Si è accennato alla nascita del numero unico nazionale per le emergenze. Ma pochi sono realmente a conoscenza degli sforzi tecnici, logistici e gestionali che essa ha comportato: oltre ad un radicale cambio operativo di amministrazione della pubblica sicurezza e dell’emergenza in generale, si trattava di cambiare principalmente la forma mentis della cittadinanza che, fino a quel momento, era stata abituata a conservare sull’agenda di casa i numeri locali dei centralini di Carabinieri, commissariati e questure.

    Quali sono stati i passi che hanno fatto nascere il numero unico di emergenza nazionale? E quali erano le strutture utilizzate fino ad allora?

    Si può dire che il seme del 113 fu gettato dal direttore dell’Automobile Club d’Italia con una lettera datata 18 maggio 1959 e indirizzata all’allora Capo della Polizia dottor Giovanni Carcaterra: in essa veniva rappresentata l’esigenza primaria per il singolo automobilista di poter disporre di uno strumento immediato di soccorso in caso di incidente stradale. In effetti, fino ad allora esistevano esclusivamente numeri privati delle singole Sezioni di Polizia Stradale e di autoambulanze che cambiavano a seconda del distretto telefonico da cui proveniva la richiesta: numeri che, per quanto semplici, non potevano essere memorizzati tutti; inoltre era inconcepibile che per una richiesta di soccorso il cittadino dovesse pagare la telefonata. Parliamo di un’epoca – il 1959 – in cui il traffico veicolare era quintuplicato nel giro di pochissimi anni senza che ad esso avesse fatto riscontro un ammodernamento delle regole di circolazione stradale. Gli stessi operatori di Polizia Stradale presenti sul territorio mancavano poi di un efficace sistema di collegamento con i rispettivi uffici: le reti radio erano concepite esclusivamente a livello embrionale; gli apparati veicolari erano di dimensioni e ingombro inconcepibili, esistendo in strada unicamente alcune postazioni telefoniche dedicate cui la pattuglia doveva fare riferimento per contattare il proprio Comando. E a poco era servita l’installazione di pannelli stradali riportanti il numero telefonico della “Stradale” operativa in un determinato luogo.

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    Le pattuglie in servizio su strada non disponevano ancora di una stabile copertura radio: i capi equipaggio erano quindi costretti a contattare via telefono il proprio comando a cadenza periodica per essere aggiornati sulle novità. Stesso problema per il privato cittadino al quale continuava a mancare un numero di telefono da chiamare indipendentemente dal distretto telefonico occupato

    Il Capo della Polizia accolse con gioia la proposta e demandò alla Divisione Servizi Tecnici della P.S. lo studio di un piano di fattibilità. Ed ecco porsi immediatamente il primo grosso ostacolo: la frammentazione della rete telefonicanazionale spartita tra cinque grandi gestori in concessione: STIPEL, TELVE, TIMO, TETI, SET, tutte riunite in un’unica associazione denominata ASCOT. Si trattava di mettere d’accordo tutte e cinque le aziende, cosa decisamente non facile anche e soprattutto per la differente impostazione tecnica delle varie cabine di smistamento e dei centralini.

    Le prime proposte fatte dalle società telefoniche vennero bocciate dal Ministero perchè spesso il distretto telefonico si differenziava da quello di operatività della Polizia, con il rischio evidente di dirottare chiamate di emergenza in distretti non interessati dall’evento e con la conseguente perdita di tempo prezioso per l’utenza.

    Giunse il 1964 e la bozza di unificazione del numero unico era arrivata ad individuare il 177 per le chiamate dirette alle questure e il 178 per quelle indirizzate alla Polizia Stradale. Il 1965 vide l’accelerazione del progetto grazie alla nascita della SIP, società che inglobava le cinque concessionarie fino ad allora operative. Questo faceva venir meno tutte le difficoltà di carattere tecnico che fino a quel momento sembravano insormontabili.

    L’ottimismo di Giovanni Carcaterra fu raccolto all’inizio degli Anni ’60 dal suo successore, il dottor Angelo Vicari, che si fece fin da subito promotore di una politica ministeriale volta a promuovere agli occhi del cittadino la figura del Poliziotto: sua l’idea di affiggere nei vari uffici di P.S. manifesti e locandine con il motto divenuto celebre: “La polizia al servizio del cittadino”. Egli fu forse il primo a capire realmente la dannosità sociale di una separazione tra Polizia e privati: in chiave moderna si potrebbe dire che considerò per la prima volta il cittadino come utente fruitore di un servizio, anziché soggetto che subiva passivamente l’autorità costituita.

    Nel 1966 l’abbonamento alla rivista ufficiale del Corpo “Polizia Moderna”, fino a quegli anni considerata niente di più che un giornaletto ad uso interno, fu esteso anche ai privati cittadini in un’ottica lungimirante di avvicinamento di questi ultimi alla Polizia. Al suo interno fu inserita una rubrica fino ad allora impensabile intitolata “Al servizio dei cittadini”: in essa venivano raccolte lettere inviate da privati, autorità, associazioni con le quali si voleva rendere pubblica l’attività dell’Amministrazione attraverso i gesti spesso eroici dei suoi appartenenti.

    La risposta data dalla cittadinanza alla Polizia passò ben presto dall’iniziale timore reverenziale ad un cauto ma costante avvicinamento, proprio come previsto da Vicari: il cittadino, grazie alla sua partecipazione diretta alla vita del Corpo tramite le rubriche approntate su Polizia Moderna, si sentì coinvolto e apportatore di nuove idee che contribuirono in maniera rilevante al progressivo disgelo nei rapporti con la pubblica autorità. Le caserme di Polizia, viste fino ad allora come sancta sanctorum, furono spesso aperte al pubblico in occasione della celebrazione della Festa del Corpo e di altre ricorrenze particolarmente sentite: l’affluenza della gente si fece via via sempre più massiccia.

    Anche la cerimonia della Festa della Polizia viene volutamente portata a contatto con la gente: non più una commemorazione per pochi intimi da celebrare al chiuso delle caserme ma un’occasione irripetibile di contatto con la cittadinanza

    Al progetto di unificazione del numero unico si accodarono immediatamente altri Enti di pronto intervento come i Vigili del Fuoco, i Carabinieri e la Croce Rossa Italiana per i quali vigeva il medesimo problema di frammentazione numerica già visto per la Polizia.

    L’avvio del nuovo sistema ebbe inevitabilmente bisogno di un periodo di sperimentazione: venne scelta come teatro operativo una grande metropoli del Nord, Milano. Alla sua questura venne assegnato il numero 777 che – a buona ragione – può definirsi il “padre” del moderno “113”. Era un numero breve, perciò facile da ricordare, ma soprattutto era gratuito. Ad esso rispondevano 24 ore su 24 operatori di alta professionalità addestrati allo scopo e che lavoravano seguendo una turnazione inizialmente massacrante, con il suo inizio alle 13 e la fine alle 13 del giorno dopo; a seguire, 2 giorni di riposo. Il più comodo turno “in quinta” sarebbe stato adottato di lì a qualche anno. La stessa struttura del pronto intervento nel capoluogo meneghino era stata di recente riformata radicalmente: agli equipaggi dislocati staticamente a bordo di “gipponi” in punti nevralgici della città era subentrato il pattugliamento dinamico delle strade a bordo dei nuovi automezzi di più moderna concezione.

    La prima sala operativa della questura di Milano venne diretta dal commissario di P.S. Ernesto Panvini, giovane e dinamico funzionario sensibile allo spirito di innovazione che questo avrebbe comportato: fu lui a venire incontro ai suoi uomini pensando ad una turnazione diversa da quella H24 fino ad allora adottato; fu ancora lui ad insistere perchè venissero adottate le più comode, potenti e versatili Alfa 2600 al posto delle ormai superate “Giuliette”. E qui iniziò il mito: il nuovo 777 divenne oggetto di pellicole cinematografiche (ad esempio “Banditi a Milano” del regista Lizzani) e di canzoni popolari, tra le quali una resa famosa da Ornella Vanoni. Il meccanismo era semplice quanto efficace: il cittadino chiamava, la Polizia arrivava. L’ulteriore avvicinamento alla Polizia fu reso possibile grazie anche alla garanzia di anonimato che la chiamata al 777 offriva al chiamante: con questo aumentò esponenzialmente il livello di collaborazione offerta dai singoli utenti. Come già accennato, al 777 milanese fecero eco il 555.555 di Roma e il 174 di Torino.

    Ciò nonostante, siamo ancora a livello locale: in tutte le altre città si continuava con i vecchi e ormai obsoleti sistemi, resi ancora più superati dalle “voci” dell’esperienza milanese.

    Sotto il profilo meramente storico è bene precisare che un primo esempio embrionale di “sala operativa” era stato sperimentato alla questura di Milano già nel settembre 1945: in quella data, grazie alla collaborazione con gli alleati anglo-americani presenti in città, al secondo piano di via Fatebenefratelli fu ricavata una stanzetta dotata di due apparati telefonici e di un’ingombrante stazione radio a valvole. La disciplina del pronto intervento di quell’epoca era estremamente vaga: in questura stazionava una Lancia Astura che veniva inviata sul luogo dell’intervento a seconda delle necessità. Tale vettura non era però dotata di apparato radio di bordo; resta quindi da capire con chi la questura di Milano fosse radiocollegata: l’opinione prevalente e maggiormente condivisibile ritiene che i radiocollegamenti avvenissero con il Reparto Mobile di stanza in città, unico reparto ad essere munito di idonee apparecchiature.


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    L’evoluzione della sala operativa avvenne in tempi rapidi: in pochissimi anni si passò dalle prime postazioni telefoniche a quelle più moderne dove si affacciano i primi supporti multimediali. Nella foto in alto, una sala operativa del 1969; qui sopra, appena sette anni dopo

    Passarono ancora tre anni, arriva il 1968. Alla fine di ottobre 1967 era giunta al Ministero una lettera della SIP nella quale veniva messo a disposizione un unico numero valido su tutto il territorio nazionale e la cui adozione superava di colpo il problema basilare della differenza dei distretti telefonici. Veniva suggerito il 113, con una sua sperimentazione a partire dal successivo mese di dicembre nelle regioni di Lazio e Umbria.

    Il 15 febbraio 1968 Vicari firmò la circolare istitutiva del “113” a livello nazionale, fissandone l’esordio per il 1° marzo successivo. Venne approntato tutto: sale operative in tutte le questure, pubblicità capillare attraverso radio, giornali e televisione, conferenze-stampa, volantini distribuiti ovunque….. Ma come in tutte le migliori intenzioni,mai verità più grande è contenuta nel vecchio adagio popolare “Il diavolo fa le pentole, ma non i coperchi”. La fine di febbraio 1968 in Italia fu caratterizzata dall’estrema incandescenza della politica interna e di quella internazionale: alla guerra del Vietnam fece da contrappunto la nascita del movimento di contestazione studentesca, con scontri quotidiani con la Polizia all’interno e all’esterno degli atenei, e la rottura dei rapporti sindacali dei lavoratori con il governo. Il 1° marzo 1968 il giorno di festa per la Polizia venne rovinato dagli scontri di Valle Giulia, nel cuore della capitale. L’attenzione della stampa nazionale ed estera fu catalizzata dall’esplosione di violenza metropolitana che si estese in tutta la nazione come fuoco tra le stoppie, incendiando gli animi e innescando quella spirale autolesionistica che porterà dopo pochi anni alla nascita del terrorismo.

    Di fronte a simili avvenimenti, la stampa dedicò alla nascita del 113 poco più che un trafiletto in cronaca, svilendo e sminuendo tra l’altro la sua reale portata: il Corriere della Sera del 17 febbraio aveva pubblicizzato che, accanto al numero 119 dell’A.C.I. riservato ai turisti, era stato affiancato anche il 113 per assistenza sanitaria agli automobilisti….. Le conferenze-stampa andarono pressochè deserte, ai comunicati ministeriali venne dato scarso peso: insomma, quella che doveva essere una riforma storica della Pubblica Sicurezza venne in realtà azzoppata sul nascere.


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    I violentissimi scontri di Valle Giulia (Roma) del 1° marzo 1968 fecero passare in sordina l’avvio del 113 programmato proprio per quel giorno


    Tuttavia il Ministero non si perse d’animo: nel corso dei mesi successivi alla data di esordio del nuovo sistema perseguì una campagna di informazione e sensibilizzazione della cittadinanza senza pari. Il nuovo numero venne fatto scrivere anche sulle fiancate delle “volanti”. E i frutti arrivarono. Il 1° dicembre 1968 il 777 milanese viene sostituito dal 113 e nel luglio 1969 si può dire che ogni capoluogo di provincia italiano disponesse della propria sala operativa. E presto la SIP mise a disposizione un numero unico anche per i Carabinieri (il glorioso 212121) e successivamente per i Vigili del Fuoco: entrambi poi sostituiti rispettivamente dal 112 e dal 115.

    E siccome le parole hanno il loro significato, ecco subentrare al comune “centralino” il più moderno concetto di “sala operativa”, chiamata nel gergo burocratico Centro Operativo Telecomunicazioni (C.O.T.). Esso non è più costituito da una sterile scrivania con telefono o con centralino a spinotti com’era stato fino ad allora. Si tratta invece di postazioni polivalenti dotate di telefoni a disco, registratori, apparati radiotrasmittenti in collegamento con le vetture in servizio sul territorio, telescrivente, linee dedicate di collegamento con altri Enti di soccorso quali Carabinieri, Vigili del Fuoco, Croce Rossa, ospedali, Polizia Stradale. In quest’ultimo caso, il Ministero preferì saggiamente abbandonare l’idea di due numeri distinti per questura e stradale, facendo convogliare comunque nella prima le telefonate di pertinenza della seconda.

    Venne istituito in vero e proprio regolamento improntato ad etica, professionalità ed imparzialità cui gli operatori del 113 dovevano attenersi strettamente: del resto, tale numero era considerato a ragione il primo “biglietto da visita” della Polizia. All’attività di questi Poliziotti iniziò a prestare attenzione la stampa, grazie anche ad episodi di cronaca più o meno di rilievo che misero in luce la professionalità degli uomini dei COT.

    Da allora di strada se ne è fatta tanta. Le moderne sale operative – oggi unificate sia nell’aspetto esteriore che nella sostanza, grazie all’adozione di un software di gestione comune – assomigliano più a cellule di navette spaziali. L’informatica ha trovato applicazione ovunque, dall’ingresso della telefonata alla gestione dell’intervento, dalle comunicazioni radio all’interconnessione in videoconferenza con la sala operativa dei Carabinieri fino al controllo remoto del territorio attraverso la gestione delle tante videocamere di sorveglianza ad alta definizione dislocate nei vari punti della città. Gli allarmi telefonici con cui obiettivi particolarmente rilevanti come banche, gioiellerie, uffici postali, istituti scolastici, private abitazioni vengono collegati e vigilati permettono un intervento immediato e in tempo reale della volante, grazie ad una lettura semplice ed efficace effettuata dall’operatore C.O.T.. Egli è in grado di gestire l’evento dal suo ingresso alla sua conclusione mediante una postazione radio-telefonica indipendente: il sistema gestionale software (chiamato Sistema per il Controllo del Territorio, S.C.T.) è condiviso da tutte le postazioni in modo che ogni operatore sappia in tempo reale cosa stanno facendo i colleghi, quali sono le risorse impiegate e quelle disponibili e molto altro ancora, implementando a sua volta il singolo evento con le informazioni che riceve dalle telefonate degli utenti e condividendole con gli altri operatori. Grazie all”evoluzione dei sistemi di visualizzazione satellitare, il sistema S.C.T. offre direttamente sullo stradario cartografico la posizione non solo delle volanti della Polizia, ma anche delle radiomobili dei Carabinieri. Lo stradario cartografico può essere convertito in ortofoto, con la visualizzazione dall’alto della città così come essa si presenta vista da un aereo. E molto altro ancora. Un’evoluzione che fino a soltanto quindici anni fa sembrava impossibile.

    Il fondamento stesso del 113 ha cambiato impostazione, adeguandosi alle mutate esigenze della società e ai suoi cambiamenti: è stato istituito il “113 Anziani” per la gestione delle piccole e grandi emergenze di questa categoria; è stato ideato e attuato il servizio per utenti sordomuti attraverso un sistema che dal fax è approdato alla gestione delle emergenze attraverso telefono cellulare di ultima generazione cui l’utente può interfacciarsi mediante semplici messaggi multimediali standardizzati che permettono di capire subito la tipologia della richiesta. I grandi eventi di ordine pubblico sono seguiti nella loro evoluzione attraverso sistemi di videoregistrazione gestiti dalla singola postazione operativa. All’interno di ogni C.O.T. è stata creata una zona detta “unità di crisi” da cui gestire gli eventi più impegnativi senza disturbare la normale attività degli operatori 113.

    E il futuro cosa riserverà? Stando alla continua evoluzione della tecnologia che costringe gli operatori C.O.T. a continui corsi di aggiornamento, la filosofia sarà quella di creare una sala operativa “virtuale” comune, estendendo il collegamento in videoconferenza anche ai Vigili del Fuoco e alla Guardia di Finanza. Per motivi di opportunità e di funzionalità, è stata esclusa la creazione di una sala operativa reale comune alle Forze di Polizia a competenza generale. E’ tuttora allo studio un nuovo sistema di telecomunicazione denominato “Tetra”, che consentirà di comunicare a circuito allargato a livello interforze con tutte le macchine sul territorio, anche di altre Forze di Polizia purchè abilitate al sistema.

    Ma oltre che un’evoluzione sul piano tecnologico, la Polizia dovrà affrontare anche quella sul piano politico a livello europeo. Si discute già da anni sulla creazione di un numero unico per le emergenze che funzioni sull’impronta del celebre 911 americano: un numero cui rivolgersi in caso di emergenza intesa nella sua globalità: sanitaria, di sicurezza, di pronto intervento, di protezione civile. La Comunità Europea ha già dato indicazioni circa l’adozione del numero unico 112, già attivo in molti Stati europei, soprattutto per facilitare il cittadino straniero nelle richieste di aiuto in caso di emergenza. A differenza degli altri Paesi, in Italia il 112 è già stato assegnato come numero di emergenza all’Arma dei Carabinieri.

    Al momento della stesura di questo testo (2009), la soluzione è ancora al vaglio del Governo italiano e sembra che prossimamente interverranno importanti novità in proposito. E’ infatti già stato previsto un centro multilingue operativo 24 ore su 24 cui le varie sale operative d’Italia potranno connettersi in teleconferenza ricevendo una traduzione simultanea della richiesta del cittadino straniero che non parli la lingua italiana.
     
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