Il Vice Commissario Mario Musco

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    BANDIERA NERA

    ( il Vicecommissario Mario Musco e l’invasione della Grecia)


    di Fabrizio Gregorutti




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    “C’é qualcuno fra di voi, o camerati, che ricorda l’inedito discorso di Eboli pronunciato nel luglio del 1935 prima della guerra etiopica? Dissi che avremmo spezzato le reni al Negus.

    Ora, con la stessa certezza assoluta, ripeto assoluta, vi dico che spezzeremo le reni alla Grecia”

    Mussolini, 18 Novembre 1940

    Il vicecommissario Mario Musco è un “figlio d’arte”.


    Il padre è ispettore generale del Corpo degli Agenti di PS, uno dei fratelli è vicequestore di Roma, un altro diventerà generale dell’Esercito italiano e anche Mario è pronto a raggiungere gli stessi traguardi. Si laurea ad appena 21 anni ed entra in Polizia, facendosi stimare dai superiori ed amare dai propri uomini. Le note caratteristiche del vicecommissario Musco arrivate sino a noi sono un inno alle sue doti professionali e umane “ottimo funzionario ed un elemento prezioso sul quale si può contare moltissimo anche in circostanze eccezionali. Le sue qualità intellettuali e personali lo renderanno indubbiamente meritevole di ascendere presto ai maggiori gradi della carriera”.. Non sono il tentativo di qualche burocrate di fare un favore al figlio di un collega, il superiore di Mario ha invece visto in lui le doti di un futuro leader con un destino assicurato ai vertici del Viminale: in futuro forse diventerà un alto dirigente del Ministero o addirittura Capo della Polizia. Nel frattempo il dottor Musco riceve prima la direzione di un importante ufficio della Questura di Roma e quindi un più importante ruolo alla Prefettura di Firenze. Sono i primi passi di una carriera che sarebbe certo sfolgorante, se non ci fosse la guerra.

    Mario si arruola volontario nell’esercito appena dieci giorni prima dello scoppio del conflitto. Non ha dubbi, la sua carriera potrà riprendere una volta tornata la pace, ma in questo momento la Patria ha bisogno di lui e Mario si sentirebbe un traditore nel rimanere a casa mentre altri giovani si battono al fronte. Nell’estate del 1940 il tenente Musco è assegnato al 5° Reggimento Bersaglieri.

    L’ingresso in guerra non è stato glorioso per un regime che per vent’anni ha montato la testa agli italiani celebrando l’invincibilità delle proprie Forze Armate. Alla nostra dichiarazione di guerra non sono seguite azioni esaltanti e a questo si aggiunge anche l’umiliazione per le continue vittorie della Germania che provocano nell’ “infallibile” Duce uno spaventoso complesso di inferiorità nei confronti dell’alleato tedesco. Quello che gli serve è una vittoria facile, una Nazione da travolgere e da schiacciare per presentarsi di fronte al mondo come un grande condottiero. Viene scelta la Grecia. Le tesi esposte nel Dopoguerra dagli ex gerarchi fascisti, secondo le quali il Paese balcanico costituisce un pericolo per l’Italia sono ridicole e sono soltanto una squallida scusa per coprire uno dei crimini più vergognosi del fascismo. La verità è che la Grecia è una Nazione povera, con un esercito debole e antiquato, governata da un dittatore, Yoannis Metaxas, il quale nonostante regga un regime di stampo fascista, vuole restare lontano il più possibile dall’uragano che sta devastando l’Europa.

    Il tenente Musco raggiunge l’Albania, a quel tempo annessa all’Italia. Negli alloggi degli ufficiali le discussioni sono febbrili. Certo, è chiaro che si sta preparando un’azione contro la Grecia, forse un attacco limitato alla parte settentrionale del Paese, forse un’invasione dell’intera Penisola Ellenica…qualche giovane tenente non ci crede. Come si può invadere la Grecia partendo dalle sue montagne più impervie? I tedeschi hanno stupito il mondo con i loro panzer e i loro assalti aviotrasportati e gli italiani come dovrebbero attaccare? Con i muli degli alpini? Assurdo!

    Sì, è assurdo, ma è la realtà. Mussolini, Ciano e lo Stato Maggiore stanno per mandare al massacro intere divisioni con una approssimazione sconvolgente, che in un Paese diverso dal nostro nel Dopoguerra avrebbe spedito i responsabili di fronte ad un plotone di esecuzione a causa della loro criminale incompetenza.

    Alle 3 del mattino del 28 Ottobre, anniversario della Marcia su Roma, il nostro ambasciatore, un uomo onesto che si vergogna di ciò che il governo lo sta costringendo a fare, consegna al Primo Ministro ellenico l’ultimatum italiano con il quale vengono imposte delle condizioni ignobili in base alle quali la Grecia in pratica dovrebbe rinunciare alla propria stessa esistenza. Metaxas rigetta l’ignobile documento con poche amare parole. La Grecia non si arrenderà.

    Alle 6 scade l’ultimatum e le truppe italiane attaccano. Mussolini pregusta già l’ingresso ad Atene, ma non ha previsto il patriottismo del Popolo ellenico, indignato dall’aggressione italiana. In tutto il Paese migliaia di giovani si presentano volontari nell’esercito. Sono monarchici e repubblicani, nazionalisti e socialisti, ricchi borghesi e poveri contadini, ma tutti sono pronti a combattere per difendere la loro Patria invasa. E’ un intero Popolo che risponde “NO!” all’arroganza italiana. Ancora oggi, con giusto orgoglio, il 28 Ottobre quel “NO” è celebrato in Grecia come festa nazionale.

    L’esercito ellenico contrattacca dopo pochi giorni, contendendo con ferocia agli invasori ogni spanna di terreno poi, ad appena due settimane dall’invasione, lancia una potente controffensiva. Gli italiani resistono eroicamente per giorni, non certo grazie al loro incompetente comandante, ma infine sono costretti a ritirarsi, incalzati dal nemico desideroso di liberare la propria Patria poi, quando gli italiani vengono respinti oltre i confini, in Albania, i greci continuano ad avanzare bramosi di vendetta e con l’obiettivo di ricacciare l’esercito italiano in mare.

    Per il Duce è un colpo terribile. Al sicuro di Palazzo Venezia urla che vuole andare di persona in Albania ad assistere “all’incredibile onta degli italiani che hanno paura dei greci”.

    I “camerati” tedeschi guardano con disprezzo gli sventurati soldati del Regio Esercito che si ritirano in mezzo al fango albanese….i soliti vigliacchi italiani, pensano.

    Il mondo intero ride della rotta dei nostri soldati, pensando allo stereotipo dell’italiano codardo e al crollo delle illusioni imperiali di Mussolini. Alla frontiera tra Italia e Francia, a Mentone, una mano beffarda scrive con la vernice su un muro una frase sarcastica “Grecs, arretez-vous! Ici France!” ( Greci, fermatevi! Qui è la Francia!), una frase che è insieme un omaggio al valore dei Soldati ellenici e una derisione per le disgrazie italiane.

    Ma Mussolini, i kameraden e il mondo intero sbagliano. I soldati italiani che combattono tra le pietraie dell’Albania non si arrendono. Si battono per la propria sopravvivenza, per riuscire a tornare a casa, disputando rabbiosamente al nemico ogni strada, ogni ponte, ogni guado.

    Il tenente Mario Musco è l’anima della propria unità e i suoi bersaglieri lo adorano come un dio. Il giovane ufficiale marcia insieme a loro. Mangia soltanto quando l’ultimo dei suoi soldati ha finalmente mangiato e riposa soltanto quando l’ultimo dei suoi ragazzi ha trovato un riparo per la notte. Combatte insieme ai suoi soldati, lanciandosi alla loro testa all’assalto delle posizioni nemiche e salvando più volte la propria unità dall’accerchiamento. I suoi superiori lo propongono per una decorazione per il valore dimostrato in battaglia e nella seconda metà di novembre lo nominano comandante di compagnia.

    E’ il momento più difficile della campagna di Grecia. La Divisione alpina Julia difende lo strategico ponte di Perati, sul fiume Vojussa. Gli alpini riescono ad evitare il disastro ma quel ponte si trasforma in un mattatoio per le truppe italiane ed elleniche. Perati diventa il simbolo dell’inferno greco albanese e il soggetto di una delle più belle canzoni militari italiane di tutti i tempi:

    Sul ponte di Perati, bandiera nera:/L’è il lutto degli alpini che va a la guera./L’è il lutto degli alpini che va a la guera, /La meglio zoventù va soto tera./Sull’ultimo vagone c’è l’amor mio/Col fazzoletto in mano mi dà l’addio/Col fazzoletto in mano mi salutava/E con la bocca i baci lui mi mandava./Con la bocca i baci lui mi mandava/E il treno pian pianino s’allontanava./Quelli che son partiti, non son tornati:/Sui monti della Grecia sono restati./Sui monti della Grecia c’è la Vojussa/Col sangue degli alpini s’è fatta rossa./Un coro di fantasmi vien giù dai monti/È il coro degli alpini che sono morti./Alpini della Julia in alto il cuore/Sui monti della Grecia c’è il tricolore./Gli alpini fan la storia, ma quella vera/Scritta col sangue lor, e la penna nera.

    Il tenente Musco non ascolterà mai quella canzone bellissima, nata davanti al fuoco dei bivacchi e nelle pause dei combattimenti nelle settimane e nei mesi successivi alla battaglia di Perati, ma sicuramente la “sente” dentro di sé, come se provenisse dal proprio cuore. E’ un uomo di valore, un comandante amato e rispettato dai propri bersaglieri e non può rimanere indifferente al loro sacrificio, ricordato in quella canzone. Sicuramente ha pensato alle decine, alle centinaia di uomini che ha lasciato indietro durante quella terrificante ritirata. Ha pensato ai ragazzi di vent’anni che ha visto morire sventrati dalle schegge delle granate, lanciando atroci urla di dolore. Ha pensato alle lettere che ha dovuto scrivere alle famiglie dei Caduti. Ha ascoltato anche lui il coro dei fantasmi dei Soldati uccisi scendere dai monti e forse ha rabbrividito.

    Ha scritto a casa, ai genitori. Scrive loro di essere sereno e di non avere paura, di avere fiducia nei propri bersaglieri

    “Un mese di guerra in primissima linea, che come avrete appreso dai giornali, è dura, ha messo alla prova i reparti dei bersaglieri che si sono mostrati, come sempre, magnifici per resistenza e ardimento. Sono stati impiegati dovunque [..] ma abbiamo superato tutte le fatiche e le ansie per lo spirito che ci anima…”.

    Nelle sue parole si avverte l’orgoglio del Comandante per i suoi Soldati. Forse non crede più nella vittoria ma crede in Loro.

    Mentre scrive a casa, sul fronte iniziano a cadere le prime nevi.

    Anche il Duce, al caldo di Palazzo Venezia, dedica il suo pensiero ai soldati al fronte “Questa neve e questo freddo vanno benissimo, così muoiono le mezze cartucce e si migliora questa mediocre razza italiana!”.

    Il 26 Novembre il tenente Musco riceve l’incarico di presidiare con la sua 26^ Compagnia la posizione strategica del Cippo 33 a Borgo Tellini, essenziale per proteggere i fianchi del suo reggimento.

    L’assalto dei greci inizia quasi subito. E’ un attacco durissimo, preceduto da un bombardamento spietato che ha causato forti perdite alla 26^ compagnia. I soldati greci assaltano alla baionetta le posizioni italiane lanciando grida di trionfo. E’ uno scontro rabbioso e feroce, in cui non c’è spazio per la pietà. Si uccide e si muore gli uni accanto agli altri, italiani e greci, e il sangue si mescola sulle pietre e sul fango albanese.

    I greci stanno per sopraffare gli italiani, ma è il giovane tenente Musco a ribaltare la situazione diventando l’anima della battaglia. Affronta il nemico con la forza della disperazione, esaurendo interi caricatori della sua pistola, quindi afferra il moschetto di uno dei suoi bersaglieri uccisi e fa fuoco sino ad avere l’arma scarica ed infine ordina l’assalto alla baionetta.

    “AVANTI SAVOIA!” ruggisce Mario incitando i suoi bersaglieri che lo seguono al contrattacco urlando anche loro “SAVOIAAA!!!” .

    I greci si battono valorosamente ma non possono farcela contro quel manipolo di italiani disperati e completamente pazzi e indietreggiano, abbandonando il Cippo 33. Il loro comandante li vede ritirarsi e urla ai propri artiglieri “Proteggeteli, presto!”.

    Mario si accorge che i soldati greci si ritirano e mormora incredulo “Abbiamo vinto”.

    “ABBIAMO VINTO!” urlano trionfanti i suoi bersaglieri poi Mario sente tuonare il cannone nelle linee greche.

    “AL RIPARO!” ordina ai suoi ragazzi.

    Riesce a salvarli tutti, ma un proiettile cade accanto a lui. Mario riesce a vedere solo l’immenso bagliore dell’esplosione poi il coro dei fantasmi porta via con sé la sua anima, sulle montagne.

    Mario fu seppellito dai suoi bersaglieri in un piccolo cimitero di guerra albanese dove riposò per oltre trent’anni, prima che la famiglia riuscisse a riportarlo a casa. Al Museo dei Bersaglieri a Roma sono oggi esposte le sue lettere ed i suoi effetti personali che, assieme alla Medaglia d’Oro conferitagli alla Memoria, ricordano ad un’Italia smemorata un coraggioso ragazzo morto per Lei da Eroe a nemmeno 28 anni.

    Il tenente Mario Musco fu uno dei ventisettemila Soldati dei due eserciti Caduti in quell’ assurda guerra dell’inverno tra il 1940 ed il 1941, i greci difendendo la loro Patria invasa, gli italiani tentando di restituire l’onore alla propria.

    Ma se ascoltate oggi un coro alpino che canta “Sul Ponte di Perati” e chiudete gli occhi, non potrete fare a meno di pensare alle voci di quelle migliaia di uomini, alcuni poco più che adolescenti, Caduti sui monti della Grecia in quell’atroce inverno.

    Non potrete non pensare a quell’eterno coro di fantasmi di cui parla la canzone.

    ….Quelli che son partiti, non son tornati:/Sui monti della Grecia sono restati./Sui monti della Grecia c’è la Vojussa/Col sangue degli alpini s’è fatta rossa./Un coro di fantasmi vien giù dai monti/È il coro degli alpini che sono morti…..
     
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