Quei ragazzini in divisa

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    RAGAZZINI IN DIVISA
    le giovani vittime dimenticate della II Guerra Mondiale



    L’otto settembre 1943 fu lo spartiacque più infausto che l’Italia abbia potuto attraversare. Il nostro Paese – a guerra ormai persa – venne sbeffeggiato dal più assurdo comportamento politico che mai memoria d’uomo ricordi: truppe tedesche che da “alleati” diventarono i nostri più acerrimi nemici, con stragi di innocenti, torture e distruzioni per pura rappresaglia; un reuccio pavido e fellone che – vista la malparata – anzichè dare un esempio forte alla sua Nazione, fugge come un ladro di notte trovando riparo in terra di Puglia, abbandonando le Forze Armate di cui era il capo ad un destino misero e infausto. Mussolini, da illustre prigioniero a Campo Imperatore, fugge a sua volta grazie ad un blitz che di tale caratteristica aveva ben poco, riparando a Salò e fondando la Repubblica Sociale Italiana, ultimo “fuoco di paglia” di un regime finito già da tempo.

    Un’Italia già di per sè divisa subisce l’ennesima ulteriore, inutile divisione: la notte del nove settembre da Roma una colonna di camion requisiti in precedenza in ogni angolo della città muove dal Ministero dell’Interno alla volta di un paese vicentino fino ad allora sconosciuto: Valdagno. A bordo archivi, stamperie, uniformi, armi, documenti, telescriventi…. Negli stabilimenti della “Lanerossi”, tra le quiete Prealpi venete, viene stabilito il nuovo Ministero dell’Interno della R.S.I. e qui viene fondata la Polizia Repubblicana al soldo di Mussolini. Un’unica Italia con due Ministeri e due polizie contrapposte: sì, perchè in tutto il resto della Penisola continua a militare il Corpo delle Guardie di P.S. cui il Maresciallo Badoglio volle dare un’ulteriore spinta di avvicinamento alla popolazione esausta e sfiduciata, “staccando” nettamente con la politica mussoliniana.

    Diciamolo subito: la Polizia Repubblicana fu comunque un Corpo che svolse le proprie attribuzioni in modo fedele, sicuramente duro, a volte decisamente spietato come spietati, duri e intransigenti dovevano essere i suoi appartenenti in un periodo di guerra civile all’interno di una guerra mondiale. Molti poliziotti repubblichini caddero nell’adempimento del loro dovere al pari dei loro “colleghi” militari di P.S.. Vanno ricordati. Vanno rispettati.

    Per noi, che studiamo nome per nome le loro storie tra libri polverosi e vecchi articoli di giornale, il compito sicuramente più difficile è proprio quello di distinguere il Poliziotto serio ancorchè fascista da chi di poliziotto portava indegnamente solo l’uniforme. La filosofia ispiratrice di questo sito – che mi sento di condividere in pieno – è proprio quella libertà di “sbattere la porta in faccia” a quei loschi e beceri individui che, fregiandosi del titolo di poliziotti, dettero sfogo agli impulsi più biechi e alla violenza più cieca perchè forti della loro impunità: la banda Collotti, la squadra Olivares, la banda Carità, la banda Koch, la Legione Autonoma Mobile “Muti”, la Legione Arditi di Polizia “Caruso” solo per citarne alcuni. Non voglio nemmeno nominare i singoli sgherri che – nel corso delle mie ricerche – ho trovato aderenti alle SS Italiane, alla Landschutz Polizei o alle squadriglie di rappresaglia più confacenti alle brigate nere….. Poliziotti, questi? Assolutamente no.

    Voglio invece ricordare per tutti due ragazzini, entrambi di 17 anni.

    Bruno Rimondi nasce il 3 novembre 1926 a San Pietro in Casale (BO). La sua famiglia è composta da semplici contadini. Sono fascisti, come fascista era quell’Italia degli anni 20 che vide in Mussolini l’angelo salvatore. Una famiglia numerosa, come il Duce voleva che fossero le italiche stirpi. Bruno vede la sua Nazione invasa da stranieri di ogni tipo che ne fanno scempio. Da buon Italiano non ci sta, vuole fare qualcosa. Dopo l’otto settembre scappa di casa, si presenta a Bologna con un certificato di nascita falsificato e si arruola nella Polizia Repubblicana come guardia ausiliaria. Non sapremo mai se Bruno ebbe o meno l’approvazione dei familiari. Io so solo che il piccolo Bruno fece una scelta da adulto in un momento in cui tanti adulti facevano scelte da bambino. Viene assegnato subito al Battaglione Ausiliari di Bologna ove voglio credere abbia svolto il suo breve servizio con orgoglio, fedeltà e abnegazione.

    Giovanni Da Luiso nasce il 16 aprile 1927. Di lui si sa ancora meno: lo troviamo in forza al Battaglione Mobile di Milano, anche lui come guardia ausiliaria. E anche per lui quasi sicuramente un certificato di nascita “compiacente” ha spalancato le porte della Polizia.
    I servizi adempiuti dai Battaglioni Ausiliari sono servizi semplici, consistono prevalentemente nel presidio dei numerosi posti di blocco presenti all’interno delle grandi città con il compito di controllare documenti, lasciapassare, carte annonarie.
    Di sicuro Giovanni e Bruno non hanno compiuto eccidi, non hanno torturato nessuno, non hanno saccheggiato nulla; pur non conoscendosi tra loro, li vedo nelle fredde notti invernali tenersi svegli fumandosi una sigaretta arrotolata: niente tabacco, solo “barbe” di pannocchia. Li vedo due ragazzini fieri che nascondono le loro paure dietro la smisurata fiducia che avevano nel loro lavoro. Li vedo due bambini cresciuti troppo in fretta. E che troppo in fretta trovano la morte.
    L’ultima fase del conflitto mondiale è per il nostro Paese se possibile ancora peggiore: l’esercito tedesco in rotta si sta ritirando verso il nord, sparando a chiunque non parla la sua lingua, bruciando tutto ciò che trova sul suo cammino e saccheggiando invece quanto possa servire alla sua sopravvivenza. E’ incalzato dagli alleati anglo-americani che sono costretti a rovesciare a cadenza quotidiana sulle nostre città un uragano di bombe e spezzoni incendiari.

    La mattina del 3 luglio 1944 Bruno si trova a San Pietro in Casale. E’ a casa sua, non è dato sapere se in licenza o se in servizio. Magari ha fatto una “scappata” a casa al termine del turno e sta mostrandosi fiero in uniforme ai suoi genitori e ai suoi fratelli quando una delle tante bombe centra in pieno il paese, facendolo volare in cielo.

    Per Giovanni va ancora peggio: il 4 novembre 1944 è impegnato come di consueto in alcuni controlli a Poggio Rusco quando il suo reparto viene fatto segno di un mitragliamento aereo a bassa quota. Giovanni resta gravemente ferito, viene ricoverato all’ospedale Niguarda di Milano dove spira dopo 11 giorni di agonia.

    Eccoli, i due ragazzini in divisa: non si conoscevano ma hanno percorso lo stesso sentiero fatto di ideali e fiducia in una Nazione che volevano contribuire a risollevare. Sono stati accomunati dallo stesso destino. Bruno è il primo Caduto più giovane della Polizia in tempo di guerra di cui si ha notizia; Giovanni il secondo. Non ci sono lapidi che li menzionano, non ci sono medaglie al valore ad essi conferite. Ci siamo noi che con queste poche righe vogliamo onorarli e ricordarli, affinchè la polvere dell’oblio non li sotterri una seconda volta.
    Oggi la loro storia può fare anche sorridere: ma chi ride di fronte a ciò denigra il senso di onore che – immutato nel tempo – accomuna Noi Poliziotti di oggi a loro, Poliziotti di ieri.
     
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