La guardia Ciro Iorio

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    Storie di guardie e di banditi sanguinari, quelle che riempivano le cronache dell'Italia del dopoguerra.
    Pur con tutti i limiti strutturali e di personale, la Polizia rispondeva comunque colpo su colpo, anche se spesso uno dei suoi figli restava a terra.
    Questa è la storia di una rapina "facile", almeno in apparenza. Ma di facile non c'è niente e l'imprevisto è sempre dietro l'angolo o - come in questo caso - a bordo di un tram.
    La rivista "Crimen" n° 14 del 19 aprile 1947 ci racconta tutta la storia nel solito stile ad essa ormai peculiare.



    Palermo, aprile 1947
    "Si è ormai sulla buona pista. Le responsabilità saranno chiarite, i colpevoli raggiunti. Prima o poi tutti pagheranno". Così terminava un articolo di Crescenzo Guarino, datato da Napoli e pubblicato qualche settimana addietro su "Crimen". E la giustizia ha raggiunto con la sua infallibile mano i colpevoli a Palermo, dove i delinquenti erano venuti a continuare le loro gesta criminali.

    Li ha raggiunti di sorpresa mentre percorrevano la via più centrale della città: uno, Sebastiano Gagliano, è rimasto freddato, sforacchiato da colpi di pistola; l'altro, Luigi La Nara, "il pericolo mediterraneo n° 1", ha preferito arrendersi piuttosto che morire.

    Ma è bene che noi rifacciamo succintamente un po' di storia, per coloro che non conoscessero i precedenti.

    Siamo a Napoli; una fredda mattina di gennaio un camion targato RO86871 delle Ferrovie dello Stato mentre si reca alle officine Granili viene assalito in via Stella Polare da cinque individui. Sul veicolo sono l'autista Matteo Bove ed i ferrovieri Luigi Somma e Salvatore Puzo; essi portano cinque milioni e duecentomila lire che debbono servire per la paga degli impiegati. Un altro camion di colore giallo ha sbarrato la strada e costretto alla fermata la macchina delle officine Granili; armi spianate, cinque malfattori riescono facilmente ad impossessarsi dei cinque milioni. Nel frattempo giunge una tranvia; da essa scende l'agente Ciro Jorio che, per volersi rendere conto di quanto succede, viene fulminato da una scarica di mitra. Più tardi si ritrova il camion giallo che sarà il filo conduttore delle indagini. L'auto appartiene a tale Giuseppe Gargiulo che, si seppe poi, l'aveva data a noleggio per 117 mila lire ai banditi. Questi cerca di imbrogliare in un primo momento la questura, poi finisce col dichiarare di avere acquistato la vettura assieme a certo Armando Tagliaferri e di averla dietro compenso, tramite tale Luigi Esposito, noleggiata ad alcuni siciliani. Le fila vengono dipanate: la rapina risulta organizzata dal pericoloso delinquente Luigi La Nara che gli alleati avevano soprannominato "il pericolo mediterraneo n° 1".

    Le piste seguite dalla polizia conducevano all'arresto di Amedeo Tagliaferri, fratello di Armando; della amante di quest'ultimo a nome Giuseppe Esposito detta "Pepparella"; di Elvira Fourier, moglie di Luigi Esposito, del guidatore del camion giallo, di una certa Mancinelli. Non rimane che acciuffare il La Nara e qualche altro che, dalle ricerche fatte, risultava avessero preso la via del sud.

    Frattanto a Catania vengono tratte in arresto la moglie e l'amante del Gagliano. La polizia in seguito a questi arresti opera le opportune indagini che daranno i frutti sperati. Le donne sono interrogate lungamente. Si conferma sempre più la convinzione che i superstiti si trovino in Sicilia: infatti è così. Il La Nara e il Gagliano hanno continuato la loro serie di delitti nell'isola. Omicidi, sequestri, estorsioni, rapine e furti vengono commessi dai due e numerosi altri mandati di cattura sono spiccati a loro carico.

    La Squadra Mobile di Catania appura che entrambi i banditi sono riusciti a recarsi a Palermo. Le ricerche si trasferiscono quindi nel capoluogo dell'isola. Il Vice Questore di Catania, comm. Scrivani, assieme ai suoi agenti giunge nella nostra città; si accorda con l'Ispettorato Generale di P.S. e col comando della Legione dei Carabinieri. Si formano parecchie squadre che iniziano la caccia ai delinquenti. Gli agenti in borghese cominciano a perlustrare le vie malfamate, i ritrovi frequentati di solito dalla teppa locale. Sono effettuate ricerche nelle pensioni e nelle bettole.

    Il giorno 27, verso le ore 13, gli agenti della Squadra Mobile di Catania scorgono nei pressi di piazza Massimo i due criminali. Non v'è alcun dubbio. Nella stessa piazza Massimo è la sede dell'Ispettorato Generale di P.S.; uno di essi corre a chiedere rinforzo, mentre gli altri si mettono a pedinare i malviventi.

    lanara



    Il La Nara e il Gagliano percorrono la via Ruggero Settimo, imboccano la stretta via Di Stefano ed entrano nel ristorante Sperlinga. Un locale pieno di gente di passaggio che mangia a prezzo fisso. Un tentativo là dentro sarebbe pericolosissimo perché in caso di reazione potrebbe verificarsi un eccidio. Gli agenti catanesi, assieme ai sopravvenuti carabinieri dei Nuclei Mobili, comandati da due ufficiali e da sottufficiali, si dispongono in maniera che, uscendo, i due delinquenti non possano sfuggire alla cattura.

    Manca poco alle ore 15, quando finalmente sia il La Nara che il Gagliano escono dal locale dove si sono trattenuti esattamente un'ora e venti minuti. Entrambi sono vestiti con una certa ricercatezza. Il La Nara porta occhiali neri; il Gagliano ha con sé una grossa borsa di pelle che tiene sotto il braccio destro. Due agenti sono in fondo alla via Di Stefano: hanno la consegna di sbarrare il passo ai malfattori se decidessero di andare in quella direzione. I due ricercati imboccano invece via Ruggero Settimo, gremita di passanti. Svoltano a sinistra; il La Nara si indugia a far l'elemosina a una vecchierella che mendica all'angolo. Pare che i banditi non si siano accorti della presenza della forza pubblica; in verità sarebbe loro assai difficile, tanto accortamente sono stati disposti gli agenti in abito borghese.

    Il La Nara ed il Gagliano percorrono una cinquantina di metri dirigendosi verso piazza Politeama; all'altezza dell'Unione Militare gli agenti ed i carabinieri che hanno accelerato il passo li raggiungono e li accerchiano. Alle spalle dei banditi tuona il "mani in alto" di uno degli ufficiali; una girata sui tacchi dei malfattori che vedono dieci e forse più pistole puntate. Restano un attimo immobilizzati dalla sorpresa. Il La Nara capisce subito che nulla gli resta a fare, ed alza le mani; il Gagliano invece compie un estremo disperato tentativo: caccia la mano destra nella borsa di pelle ed estratta una pistola spara all'impazzata sul gruppo degli agenti. Il carabiniere Giuseppe Sanmasardo, colpito, cade a terra; il ribelle, accortosi che l'arma gli è insufficiente contro tanto spiegamento di forze, ricaccia la mano nella borsa per tirare fuori una delle bombe contenute in essa. A questo punto gli agenti, ritenendo fatale ogni ulteriore indugio, scaricano le loro armi. Colpito al collo, al petto ed alle gambe, il bandito si abbatte al suolo invocando "mamma mia!" e, poi, al La Nara che sta più in là più terrorizzato che mai, con le mani alzate, grida: "Vigliacco, vigliacco!". Uno specchio del bar "Pinguino" è andato fragorosamente in frantumi per il colpo di pistola sparato da un carabiniere dal marciapiedi opposto: il barista spaventosissimo è saltato dal banco rifugiandosi nella vicina agenzia della Cassa di Risparmio; anche la folla dei passanti che non si è resa bene conto di quanto è accaduto, si è data a correre cercando scampo nei portoni più vicini. Una signora che aveva per mano una bambina è svenuta. Ma la calma ritornò presto. Il La Nara, inebetito, venne ammanettato ed ebbe una crisi di pianto. Il Gagliano, caricato su una camionetta e trasportato nell'ospedale di piazza Marmi, morì subito dopo il suo arrivo, dissanguato. Il carabiniere Sanmasardo, portato alla clinica Orestano, e sottoposto a intervento chirurgico per una ferita all'inguine sinistro, venne messo fortunatamente fuori pericolo.

    Condotto alla Legione dei carabinieri, il La Nara subì il primo interrogatorio. Venne trovato in possesso di una carta di identità falsa a nome di Pasquale Padovano. Il suo corpo presenta numerose cicatrici che sono ricordo di conflitti sostenuti con la Military Police. Anche addosso al morto venne rinvenuta una carta di identità falsa, un orologio d'oro e qualche centinaio di lire. Nella borsa di pelle sequestrata, due pistole Beretta ed alcune bombe a mano.

    E' stato stabilito che il Gagliano venne ucciso dai colpi sparati dal carabiniere Calabrò, dell'Ispettorato Generale di P.S.. Il Calabrò è stato tempo addietro decorato di medaglia d'argento al valore poiché nel corso di un conflitto a fuoco in territorio di Sambuco di Sicilia, era riuscito a uccidere quattro delinquenti di una terribile banda.

    Più tardi il La Nara ci ha narrato la sua storia in tono pietistico. Appartiene a famiglia di lavoratori e anche lui da giovane lavorava in un silurificio di Napoli. Poi si è buscato tre anni di confino di polizia per lesioni in rissa, anni scontati all'isola di Ustica. Tornato a Napoli nel 1940, gli fu difficile riprendere il lavoro (dice lui), data l'onta della pena inflittagli. Fatta amicizia con il Gagliano, si dettero insieme a commettere delitti. Il bandito narra quindi il colpo organizzato contro il camion delle officine Granili e naturalmente dice che è stato il mitra del Gagliano a uccidere l'agente Ciro Jorio. Poi venne in Sicilia assieme al Gagliano in seguito all'arresto della moglie di quest'ultimo, per mettere nelle mani di un avvocato tutta la faccenda.

    Quando parla della sua famiglia qualche lagrima gli luccica all'angolo degli occhi. Il padre è un pensionato dei telefoni; una sorella, laureata in lettere, si dedica al piccolo commercio mentre un'altra sorella è impiegata presso il Banco di Napoli. Ma il La Nara ridiviene buio in viso allorché gli si chiede qualche dettaglio sui precedenti che lo hanno legato al Gagliano. Si limita a dire con i denti stretti: "Sarebbe stato capace di fulminarli tutti!"

    Marcello Sofia
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    IORIO-Ciro

     
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