L'Ispettore Francesco Vespa

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    VESPA

    IL PATRIOTA

    di Fabrizio Gregorutti




    Nell’incipit del suo “American Tabloid”, un grandioso affresco degli USA dell’era Kennedy, lo scrittore statunitense James Ellroy scrive:

    “ L’America non è mai stata innocente. Abbiamo perso la verginità sulla nave durante il viaggio di andata e ci siamo guardati indietro senza alcun rimpianto. Non si può ascrivere la nostra caduta dalla grazia ad alcun singolo evento o insieme di circostanze. Non è possibile perdere ciò che non si ha fin dall’inizio.”

    Nemmeno l’Italia è mai stata innocente, nonostante uomini come Francesco Vespa.


    Napoli, 1859

    Li hanno arrestati dopo il tradimento di uno di loro.

    Uno di cui si fidavano, un compagno di lotta, un amico, un confratello, uno di quelli che pronunciava termini come Libertà, Patria, Lotta, Indipendenza con tanta enfasi che un ascoltatore poteva addirittura “sentire” le maiuscole nelle sue parole.

    Bastardo.

    Almeno fosse stato un poliziotto o un fedele al Borbone.

    Sarebbe stato comprensibile, addirittura giustificabile. Ma non è stato così. Quel verme li ha traditi per denaro…

    E’ a causa di quello squallido traditore che da anni Francesco Vespa è chiuso in una maledetta cella semibuia, con le caviglie serrate dalle catene, a dormire su della paglia mezzo ammuffita stesa sul pavimento di terra battuta, a fare i propri bisogni in un bugliolo che a volte in estate i secondini “dimenticano” di ritirare lasciando che il fetore appesti ancora di più la cella, a mangiare una schifosa brodaglia accompagnata da un pane infestato dai vermi che a volte deve disputare ai topi. I topi… a volte li sente zampettare nella cella e più di qualche notte si è svegliato di soprassalto urlando, avvertendo quelle piccole bestiacce immonde salire sul suo corpo.

    In quelle occasioni, quando lo sentono urlare, i secondini si affacciano sulla porta della cella e lo deridono. Una volta lo avrebbero pestato, giusto per divertirsi, come dopo l’arresto lo avevano pestato a sangue i gendarmi per costringerlo a fare il nome di chi era sfuggito alla cattura. A quel tempo lui non aveva parlato e non aveva tradito gli altri compagni ora, di fronte ai carcerieri sghignazzanti grida che possono andare all’inferno, che lui non si arrenderà, che non lo hanno spezzato.

    Lo grida ancora mentre i secondini con una gran risata chiudono la porta della cella alle loro spalle.

    Francesco Vespa sente le loro risa spegnersi con il rumore dei loro passi lungo il corridoio e allora, solo allora, inizia silenziosamente a piangere.

    Napoli, 1867

    A salvarlo dalla follia e dalla morte sono l’arrivo di Garibaldi e il crollo del Regno delle Due Sicilie che liberano lui ed altre centinaia di detenuti dalle galere duosiciliane.

    Francesco Vespa scopre che il mondo è cambiato. Lo fa anche lui. Prima di entrare nelle galere di Sua Maestà Ferdinando II era repubblicano e mazziniano ora diventa monarchico e governativo.

    Non è trasformista né un venduto al nuovo potere.

    Più semplicemente l’idealista che era prima di finire in carcere sognante una rivoluzione italiana che parte dal popolo, ha fatto i conti con la realtà. Al popolo del progresso, della libertà, della Patria Unita non importa nulla, preso com’è dai bisogni più impellenti come il mettere d’accordo il pranzo con la cena. Le uniche volte in cui il popolo si è sollevato in armi, è stato contro i liberali visti come nemici della Fede cristiana e dei Sovrani incoronati da Dio. Al Sud di questo equivoco hanno fatto le spese in tanti, come i martiri della Repubblica Napoletana del 1799, re Gioacchino Murat nel 1815, i fratelli Bandiera nel 1844, Pisacane nel 1857 e nemmeno al Nord è andata meglio. Quando Radetsky è ritornato a Milano dopo le Cinque Giornate è stato accolto dalle grida di molti “Hin staa i sciuri!”…. sono stati i signori… i moti carbonari degli anni ’20 e’30 al Nord si sono spenti come fuochi di paglia di fronte all’indifferenza della gente comune che ha guardato indifferente i ribelli finire in galera o sulla forca.

    E’ stata la tragedia del Risorgimento, quella di una minoranza animata da grandi passioni, ma incapace di ascoltare il suo stesso popolo.

    Quando nel 1860 il Regno delle Due Sicilie è crollato, con esso si dissolve la sua Polizia i cui funzionari preferiscono tagliare la corda. Il governo provvisorio napoletano, in modo piuttosto discutibile, ha preferito sostituire i poliziotti borbonici con i camorristi. Non è una decisione inconsueta per l’800 quella di promuovere a poliziotti i criminali. In Francia uno dei padri storici della Police Nationale francese, Eugène-François Vidocq, considerato giustamente ancora oggi un eroe nazionale, era un disertore dell’esercito, un ladro, un truffatore, un carcerato condannato alla deportazione per crimini comuni e più volte evaso. Solo che a Napoli la decisione del governo provvisorio non è così positiva come in Francia e scatena mesi di sopraffazioni senza precedenti da parte dei poliziotti/camorristi alle quali pone rimedio il Ministro di Polizia del governo provvisorio, Silvio Spaventa, con l’assunzione di nuovi poliziotti dalla specchiata onestà e dalla indubbia fede patriottica. Come Francesco Vespa.

    Nel 1860 entra in Polizia e dopo un primo periodo a Napoli in cui si oppone a dei garibaldini fanatici viene destinato ad Avellino, nel calderone della lotta al brigantaggio politico più duro. Forse in questo c’è anche un motivo personale. Nella sua Lanciano il fratello è stato fatto a pezzi a colpi d’ascia durante uno scontro di piazza tra nostalgici borbonici e liberali.

    Nei documenti del tempo affiorano echi di suoi scontri non solo con i briganti, ma anche con gli esponenti dell’alta nobiltà e borghesia napoletana che in quei primi anni postunitari stanno facendo a pugni per ingraziarsi il nuovo potere. L’ex detenuto ora poliziotto non ha un carattere facile, specialmente con chi vede come un opportunista bramoso di salire sul carro del vincitore. Ma anche con gli ex garibaldini fanatici ed i burocrati calati dal Nord il rapporto non è buono, specie con gli arroganti tra loro che pensano di essere giunti a Napoli per “civilizzare i selvaggi” e non per costruire insieme ai napoletani una Nazione. Tra loro e un uomo dal caratteraccio come Francesco Vespa gli scontri devono essere stati epici.

    Nonostante tutto, però, la carriera di Vespa non viene danneggiata, tutt’altro. Il suo curriculum di patriota è a tutta prova e in quegli anni conta molto. Alla fine del 1866, ormai Ispettore viene messo a capo della sezione di PS di Posillipo, a Napoli.

    La storia ufficiale non lo dice chiaramente, ma dev’essere un ufficio piuttosto “sospetto”. Prima dell’arrivo dell’ispettore Vespa decine di briganti si annidavano indisturbati nei boschi del Capo Posillipo, dedicandosi a furti e rapine (o meglio, come si diceva nel bellissimo italiano ottocentesco, alle “grassazioni”).

    Pochi giorni dopo l’arrivo di Vespa, più di venti criminali del Capo vengono arrestati dagli agenti di Posillipo. E’ quindi ovvio che la precedente gestione della Sezione sia stata quantomeno molle o ancora peggio tollerante e corrotta.

    Di certo Vespa è costretto a ripulire l’ ufficio dagli elementi collusi o sospetti e, con il suo temperamento poco incline ai compromessi deve avere gonfiato di calci anche gli agenti che si erano adattati nel tirare a campare aspettando il giorno di paga.

    Con lui la Sezione di Posillipo diventa il fiore all’occhiello della Questura di Napoli. Gli abitanti dell’ estrema periferia occidentale della città e dei piccoli villaggi di pescatori che costituiscono la giurixxxzione di Posillipo hanno la sorpresa di vedere finalmente le pattuglie di guardie di PS perlustrare il territorio a caccia dei cattivi e gli agenti in borghese arrestare ladri, grassatori ed estorsori che finiscono in galera o sono costretti a trasmigrare altrove.

    Chi si reca in Sezione per una denuncia, una segnalazione o una lagnanza ha finalmente la soddisfazione di essere ascoltato e non allontanato con sufficienza o arroganza come accadeva con il precedente ispettore. Anche i poliziotti hanno un nuovo orgoglio professionale. E’ finita l’epoca degli sbirri-camorristi: il nuovo Capo ha portato in Sezione una ventata di aria nuova.

    E’ in quel clima di entusiasmo che i poliziotti dell’ispettore Vespa iniziano una nuova indagine.

    A Posillipo, sin dai tempi dei Borbone, esiste una polveriera della Regia Marina, dove sono depositati i barili di polvere da sparo destinati alla flotta. Le voci raccolte dalla Sezione di Posillipo però raccontano di come da tempo dal deposito scompaiano ingenti quantitativi di polvere che finiscono regolarmente nelle mani sbagliate.

    Uno dei sospettati è un tenente di vascello che spende e spande come fosse un ammiraglio. Una bella casa, una carrozza privata, abiti costosi, un palco al teatro San Carlo.

    Un po’ troppo per lo stipendio di un ufficiale inferiore. Francesco Vespa ed i suoi poliziotti cominciano a tenerlo sotto osservazione e presto scoprono che il bravo tenente ha preso una casa in affitto poco fuori la polveriera.

    Il 21 Febbraio 1867 l’ispettore Vespa, i suoi agenti ed un ufficiale dell’Esercito (cortesia tra Statali) irrompono nell’abitazione e qui beccano in flagranza il tenente, insieme a circa un paio di quintali di barili pieni di polvere da sparo rubati dal deposito.

    L’ufficiale di Marina confessa (e cosa potrebbe fare altrimenti, dopo essere stato beccato con le proverbiali mani nel sacco?) e chiede clemenza. La chiede anche durante l’interrogatorio avvenuto nell’ufficio del questore di Napoli il quale scuote la testa. La clemenza non dipende certo da lui. Ordina all’ispettore Francesco Vespa di ritornare alla casa affittata dall’ufficiale corrotto per procedere all’inventario ed al sequestro della polvere rubata.

    Prima che Vespa esca dal suo ufficio, con l’ormai ex tenente ammanettato, il questore lo richiama indietro “Ispettore – dice porgendogli la mano – i miei complimenti per l’ottimo lavoro. La prego di estendere le mie congratulazioni a tutti gli uomini al suo comando! ”. L’ispettore Francesco Vespa ringrazia imbarazzato, stringendo la mano al suo superiore.

    Non si vedranno mai più.

    Quando Vespa ed i suoi uomini ritornano a Posillipo insieme all’arrestato, questi cerca di comprare il funzionario. C’è da guadagnare per tutti, dice. Ha dei bei soldi da parte… se il signor ispettore è così gentile da girare lo sguardo dall’altra parte e lasciarlo andare….

    Francesco Vespa soffoca l’istinto di scaraventare l’uomo giù nel Mar Tirreno e si limita a rispondere che non se ne parla neanche, che ora c’è da perquisire la casa e sequestrare i barili.

    L’ufficiale abbassa la testa, distrutto.

    L’ispettore Vespa si gira verso quattro dei suoi uomini, ordinando loro di perlustrare la proprietà alla ricerca di un eventuale altro deposito. I quattro poliziotti obbediscono. Non sanno che l’ispettore ha appena salvato loro la vita.

    Pochi minuti dopo l’ispettore Vespa entra nella casa dell’ufficiale, insieme al vicebrigadiere Giuseppe Esposito e alle guardie Andrea Alfano, Angelo Amandini e Raffaele Pecoraro che portano con loro l’arrestato.

    Passano pochi istanti poi appare la luce.

    Un unico, spaventoso bagliore rosso e giallo che divora la casa poi c’è il rombo, un ruggito orribile, come quello di una belva preistorica che sembra risvegliarsi da un sonno millenario. La casa scompare in un colossale boato che viene udita a chilometri di distanza e con lei scompaiono gli uomini al suo interno, vaporizzati dall’esplosione della polvere da sparo.

    Le pietre, i mattoni, le tegole e le travi che un tempo erano la casa sono trasformati in proiettili e lo spostamento d’aria li scaglia per centinaia di metri intorno, ferendo, falciando, mutilando, uccidendo tutto ciò che incontrano sulla loro traiettoria.

    Poi è solo il silenzio, un lungo raggelante istante di silenzio che viene interrotto dai lamenti dei tanti feriti.

    Sono in tanti a morire quel giorno. Muoiono Francesco Vespa e tutti coloro che con lui sono entrati in quella maledetta casa, i soldati ed i marinai che (ancora la cortesia tra Corpi dello Stato) piantonano la casa, gli operai della polveriera che sono venuti ad assistere allo spettacolo del signor tenente in catene, gli ignari civili delle abitazioni vicine, massacrati dai frammenti della casa esplosa. Muore anche l’ufficiale corrotto.

    Nei giorni successivi alcuni giornali pubblicano un parziale ma spaventoso bilancio delle vittime: 53 morti. Ma cos’è successo? È stato un incidente, oppure….

    Secondo il questore ed il procuratore di Napoli a causare la strage è stato lo stesso ufficiale arrestato che si è fatto saltare in aria uccidendo altri 52 innocenti per evitare la galera.

    Ma se il tenente si è tolto la vita forse lo ha fatto a causa di qualcosa o qualcuno che gli incuteva molta più paura della giustizia militare.

    Due quintali di polvere da sparo rubata (senza contare quelli sottrattiin precedenza) sono un quantitativo enorme e oggi come allora a Napoli un solo acquirente è in grado di acquistare un bottino di una tale portata: la camorra e se davvero, com’è probabile, fosse lei l’acquirente di quella maledetta polvere da sparo rubata, l’eccidio di Posillipo del 21 febbraio 1867 è la più terribile strage dovuta alla criminalità organizzata nel nostro Paese. Purtroppo però per la nuova Italia il caso è chiuso con il suicidio dell’ufficiale corrotto che si è tolto la vita portando con sé decine di civili e di uomini dello Stato. Il colpevole è morto, quindi perché continuare l’indagine, no?

    Alla vedova dell’ispettore Vespa lo Stato concede una pensione annua di duemila lire, una somma ragguardevole per quel tempo mentre il figlio viene nominato funzionario di Polizia poche settimane dopo.

    Un po’ poco per ricordare l’uomo Francesco Vespa, il repubblicano che aveva cercato di fare l’Italia e il monarchico che voleva cambiarla dall’interno, il forzato che languì per i suoi ideali nella cella buia di un carcere e il poliziotto che cercò di migliorare il mondo in cui viveva.

    Per ricordare l’uomo del suo tempo.


    (Fonti ed opere consultate: quotidiani “Perseveranza” e “Gazzetta Piemontese” del 24 Febbraio 1867 e successivi; “Atti del governo estratti dal giornale officiale di Napoli, Edizioni 1-27” ; Storia dell’insurrezione siciliana: dei successivi avvenimenti per …: Volume 2 – Pagina 381)

    Edited by giacal - 23/10/2022, 09:29
     
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