Montefiorino

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    MONTEFIORINO
    di Gianmarco Calore



    E’ un nome che a pochi dice qualcosa.

    Un nome che nemmeno si studia sui libri di storia quando questi vengono scritti “a senso unico”, spesso accampando tesi negazioniste intrise solo di bassa politica e di manipolazione dei fatti più scomodi. Ma se uno va al di là dei libri di storia, capisce che le informazioni sono lì, alla sua portata, magari in un libro “anomalo” rinvenuto per caso nella biblioteca o “inciampando” su un pugno di giovani Poliziotti trucidati perchè credevano ancora nel senso dell’onore, anche nella resa.

    Siamo nel 1944, in piena Repubblica Sociale Italiana. Montefiorino è uno dei tanti paesini abbarbicati sul versante modenese dell’appennino tosco-emiliano. Qui la guerra civile che sta sconquassando il Paese viene vissuta se possibile in modo ancora più acceso e viscerale: ci sono infatti attivissimi movimenti partigiani la cui organizzazione capillare sfrutta una precisa conoscenza del territorio, dei suoi anfratti, delle sue scorciatoie.

    La lotta contro i nazifascisti, responsabili di eccidi e altre barbarie, viene sentita come molto più di un semplice dovere: diventa un imperativo categorico. La spietatezza si combatte con altra spietatezza, tanto il sangue che resta sul terreno è sempre rosso indipendentemente dal credo politico di chi lo ha versato. Si sa che gli Alleati arriveranno, ma le notizie restano contraddittorie: c’è chi dice che Roma è già libera, chi invece che i nazisti hanno riconquistato Napoli spostando la linea del fronte e allontanando il giorno della Liberazione… un rincorrersi di voci che rendono ancora più instabile il clima che si respira tra quei monti.

    Mussolini, dal canto suo, sta amministrando la Repubblica Sociale Italiana con il consueto pugno di ferro, anche se ormai sempre in meno credono alla sua sopravvivenza. L’esercito nazista sta cominciando a collezionare le prime sconfitte che hanno aperto crepe nel suo teutonico orgoglio. E non solo in quello. Si dice che Hitler sia molto malato e che addirittura sia in fase di trattative con gli Anglo-Americani…anzi no, con i Russi….o magari con qualche marziano arrivato dallo spazio…. L’unica certezza con cui ogni giorno gli Italiani devono fare i conti è costituita dall’arroganza dei nazisti che non perdono occasione per imporre il loro diktat, spesso sulla base di una sola spinta: la sete di conquista che porta a razziare ogni cosa, vino, animali, vestiti, denaro, derrate alimentari….

    A Montefiorino le cose non sono tanto diverse, anzi. L’odio verso i nazifascisti è reso ancora più cieco dalla fede politica che permea quei territori da sempre e che ha portato alla formazione di brigate partigiane tra le più numerose e meglio organizzate del Nord Italia: gente che definire determinata è poco, ma del resto quando hai il nemico in casa non puoi davvero fare altro se ancora un minimo di amor di Patria ti è rimasto. Oltre a questo, nella zona era stato costituito un apposito battaglione partigiano in grado di accogliere al suo interno i disertori russi dell’esercito nazista che a inizio guerra erano stati costretti ad arruolarsi in esso pur di avere salva la vita. E la diserzione dai ranghi dell’esercito aveva assunto proporzioni da esodo che stavano preoccupando non poco i vertici militari: solo nella zona compresa tra Modena e Reggio Emilia sono attivi più di tremila partigiani che dispongono tra l’altro di una delle armi più potenti: l’omertà della gente.

    Accadde dunque che l’ebbrezza di quella che era ritenuta da tutti l’imminente Liberazione, quando ormai la Linea Gotica era stata fissata a pochi chilometri da lì e galvanizzata dallo sbarco alleato in Normandia, trasformò la contentezza in tracotanza: in sfregio alle leggi repubblichine, dopo i successi che avevano portato alla “bonifica” di un’area di più di seicento chilometri quadrati che arrivava fin quasi a La Spezia, il 18 giugno 1944 venne costituita quella che passerà alla storia come la Repubblica Partigiana di Montefiorino!!

    I presìdi nazifascisti di Montefiorino e Frassinoro, colti di sprovvista, abbandonarono momentaneamente le posizioni per non finire nelle mani di coloro i quali si imposero come i nuovi capi. Questa “repubblica”, nata nel cuore della RSI, si munì di un proprio regolamento, addirittura di una propria moneta: ovviamente la prima cosa che fecero i suoi vertici fu quella di mettere fuorilegge il nazifascismo in tutte le sue forme.

    Ma ve lo immaginate?? Una repubblica di dissidenti “rossi” nel cuore “nero” di una Repubblica Sociale, a sua volta stato golpista rispetto all’imperante monarchia del resto del Paese?? C’è da perderci il sonno, anche per lo storico più sobrio!!

    Oltretutto Montefiorino si trovava proprio alle spalle della Linea Gotica e “tagliava” due importanti vie di approvvigionamento per i tedeschi: la strada dell’Abetone e quella del Cerreto: si creava dunque la pericolosa possibile apertura di una falla che avrebbe potuto essere sfruttata agevolmente dagli Alleati, ormai attestatisi stabilmente oltre Lucca e in tutta la Garfagnana. Infatti pattuglie partigiane costituite da pochissime unità particolarmente addestrate assalivano a cadenza quotidiana le autocolonne tedesche che portavano le sussistenze al fronte, creando uno stillicidio di perdite e un ancor più dannoso impossessamento di generi alimentari, armi, munizioni, vestiario e quant’altro.

    Sarebbe però ingiusto considerare Montefiorino come una sterile espressione di popolo, una sorta di kermesse popolare: lo stesso controspionaggio alleato aveva avviato trattative segrete con i vertici partigiani che dovevano portare a paracadutare nelle retrovie del paese il 185° battaglione “Nembo” per riuscire nello sfondamento alle spalle della Linea Gotica medesima. Si crea dunque una pericolosissima situazione per l’esercito tedesco che concentra sulla zona forze militari in numero mai visto; ordina ai partigiani la resa che resta tuttavia inascoltata: il 30 luglio 1944 la Wehrmacht sferra un potentissimo attacco proprio su Montefiorino, con l’uso di armi pesanti e addirittura dell’aviazione.

    Si susseguono tre giorni di furiosi combattimenti che costringeranno alla fine i partigiani ad abbandonare Montefiorino: la sua Repubblica Partigiana cessa ufficialmente il 1° agosto 1944 dopo 45 giorni di “dominio” incontrastato. I paesini della zona vengono fatti oggetto delle più turpi razzie e predazioni per il solo fatto di avere prestato aiuto ai partigiani o di essere solo geograficamente all’interno dell’area liberata. La gente fugge e solo per miracolo si conteranno solo tre morti tra la popolazione civile. Il 6 agosto la stessa Montefiorino viene data alle fiamme dopo essere stata saccheggiata. I partigiani che vengono catturati vivi sono impiccati ai pali del telegrafo a monito della gente. La Liberazione è ancora lontana e, a causa anche di un inverno particolarmente freddo e dell’assenza di aiuti concreti da parte degli Alleati, i partigiani ancora asserragliati in montagna vengono decimati.

    Questa, la storia della Repubblica Partigiana di Montefiorino tratteggiata nei suoi punti salienti.

    Ma in tutto ciò, direte, cosa c’entra la Polizia? Per contrastare questi che vengono chiamati genericamente “ribelli” Mussolini ha approntato a Modena una compagnia ausiliaria di Pubblica Sicurezza con il compito specifico di effettuare quotidiani rastrellamenti nei boschi e nei paesi della zona. Vengono assunti nient’altro che ragazzini, comandati da altri ragazzini solo di qualche anno più grandi ma inebriati dall’attribuzione di gradi militari quali “brigadiere” e “maresciallo”…. come se il grado facesse l’uomo!

    Sono ragazzi volenterosi, questi poliziotti. Fanno il loro dovere quotidianamente su e giù per i boschi e le contrade, spesso lasciandoci anche le penne. Ma già da alcuni mesi anche tra loro stanno serpeggiando idee che definire sovversive è poco: alcuni, i più lungimiranti, hanno capito che la loro è una battaglia persa in partenza; che la stessa RSI è un’avventura destinata a finire presto, e nel modo peggiore. Queste idee vengono sussurrate probabilmente nel buio delle camerate, oppure durante i turni di guardia: guai però a farsi sentire!! La fucilazione alla schiena sarebbe l’atto finale!

    Le idee sono cose belle. E strane. Sono come i semi di una pianta: proprio quando credi che siano andati perduti o che il terreno sia troppo aspro per loro, ecco spuntare invece un piccolo germoglio. In questo caso, una pianta infestante: la estirpi da una parte e ti ricresce due volte tanto da un’altra…. Chissà, saranno stati gli scontri sempre più sanguinari e inutili tra Polizia e partigiani, oppure l’ennesimo collega ucciso… sta di fatto che tra i militi si fa sempre più impellente l’esigenza di saltare il fosso e passare dall’altra parte della barricata. Del resto, la giovane età di questi ragazzini in divisa deve avere giocato un ruolo importante nelle decisioni che verranno prese all’inizio dell’estate del 1944.

    Non c’è un atto ufficiale di quello che vi sto per raccontare; e nemmeno ne troverete traccia nei libri di storia, tutti politicamente allineati secondo l’ottica di far passare la partigianeria come un movimento a tutti i costi senza macchia e senza peccato. Ci sono però testimonianze e verbali che giacciono impolverati in qualche faldone al Ministero: una miriade di dati che, messi a confronto tra loro, portano a tracciare una delle pagine più brutte della partigianeria italiana.

    Alcuni dei ragazzi della Compagnia Ausiliaria di Modena decidono per il salto nel buio: si passa dall’altra parte! C’è quel Montefiorino che da tempo costituisce la spina nel fianco più pungente per l’apparato nazifascista: la stanno tenendo d’occhio da tempo, probabilmente sono anche stati intavolati i primi abboccamenti per trattare il transito di questi Poliziotti nelle file dei partigiani. Di sicuro questo paesino viene visto come il passepartout ideale verso una nuova vita: abbiamo in mano il salvacondotto che fu rilasciato a questi giovani dal Comitato di Liberazione Nazionale che ne garantisce la loro fede democratica. Dice insomma al suo destinatario: accoglili nei tuoi ranghi con piena fiducia, sono bravi ragazzi.

    Ciò che accade nei giorni precedenti alla costituzione della Repubblica Partigiana di Montefiorino ha dell’assurdo. Ma prima di raccontarlo, dobbiamo parlare di un’altra figura-chiave di questa storia. Si chiama Nello Pini, conosciuto nell’ambiente partigiano con il soprannome di “comandante Nello”. Di lui si sa poco, ma ciò che emerge sono i tratti di un partigiano inviso ai suoi stessi compagni, un duro e intransigente che per la sua ferocia nel combattere il nazifascismo da molti è stato dipinto come l’esatto contraltare dei suoi stessi nemici: cambia l’uniforme, non la bestia che c’è sotto. Un uomo tanto crudele con il nemico ancorchè arreso quanto severo con quelli tra i suoi che non eseguivano alla lettera i suoi ordini; severità che spesso è sfociata in sadismo. Di personaggi come lui ce ne sono stati tanti altri, gente che portava all’esasperazione un’ideale tanto da una parte quanto dall’altra: di solito non ne sono mai usciti bene, fatti a pezzi da una raffica di mitragliatrice o dal rigore di certi storici non addomesticati dal politically correct di cui la storiografia italiana è così tanto intrisa. Pini non fa eccezione.

    E’ l’alba di una mattina di inizio estate: il 15 giugno 1944. Un gruppo di quattordici Poliziotti della Compagnia Ausiliaria di Modena sta marciando silenzioso tra i boschi dell’Appennino modenese. Non sono in uniforme, però; né hanno armi con loro: non devono eseguire alcuna missione o rastrellamento ma sono semplicemente dei ragazzini poco più che adolescenti che la guerra ha reso già uomini e che hanno preso per il loro futuro una decisione irrevocabile: la diserzione. Hanno bruciato le navi dietro di loro, non possono più tornare indietro: in caserma l’adunata è già suonata e di sicuro i loro superiori si sono già accorti della loro fuga. Se li riprendono, per loro è la fucilazione alla schiena. Hanno tutti in tasca quel pezzo di carta a firma del CLN: un foglio nominativo da presentare al capo dei partigiani locali. Basta con i rastrellamenti, basta col saluto romano, basta con il disprezzo dei loro stessi connazionali…..i ragazzi cercano una nuova vita che li faccia davvero sentire Uomini e non burattini nelle mani di un pazzo. Non sanno però che si stanno consegnando nelle mani di un altro pazzo.

    L’umidità del sottobosco intride i loro vestiti rendendo l’emozione del momento ancora più palpabile: raggiungono il luogo designato per l’incontro con i partigiani e lì si fermano, in attesa. Di sicuro fumano qualche sigaretta, ingannano il tempo raccontandosi qualche aneddoto; c’è chi trova il tempo di mangiare un tozzo di pane sottratto di nascosto alla mensa in caserma ieri sera. Già, ieri sera…. sembra già passata un’eternità da quando nei corridoi delle camerate è suonato il contrappello e il piantone ha finito di recitare a squarciagola la preghiera al Duce. Improvvisamente eccoli: sono i partigiani, sono tanti. Nessuno ci racconterà mai cosa sia successo davvero in quel bosco: vedo l’incrocio di sguardi tra chi credeva nella propria rinascita; vedo l’esibizione di quel salvacondotto nelle mani del loro nuovo capo, vedo il suo ghigno di scherno….. E sento la sua frase, quella che deve essere suonata per tutti come una condanna a morte:
    “Questi sono spie!”

    Nessuno ci racconterà se cercarono di farlo ragionare, se i suoi stessi compagni abbiano in realtà capito cosa stava succedendo; se i quattordici Poliziotti si fecero a loro volta accaniti sostenitori della fede democratica e antifascista giurando e spergiurando la loro buona fede. E nessuno ci racconterà quel clima surreale che di sicuro ha pervaso i presenti di fronte a un ordine che contraddiceva in pieno un altro ordine gerarchicamente superiore e sottoscritto proprio da quel CLN cui era assoggettato lo stesso comandante Nello.

    Quello che di sicuro posso raccontarvi è che i quattordici Poliziotti furono immediatamente fucilati sul posto, neanche il sostegno dei conforti religiosi. Le cannonate dei mitra “Breda” ruppero il silenzio di quella valle incantata ponendo fine ai sogni di quindici ragazzini che avevano creduto nel senso di onore, in un’Italia diversa.

    Ecco i loro nomi, da non dimenticare mai perchè non ci sono in nessun libro di storia né in nessuna lapide. Non hanno caserme o strade loro intitolate, né parenti che hanno beneficiato della pensione. La storia ce li passa ufficialmente come traditori e disertori da una parte, come spie dall’altra. Ma è una visione dalla quale personalmente mi dissocio.

    Guardia Ausiliaria Emilio Campeggi
    Guardia Ausiliaria Giuseppe Casari
    Guardia Ausiliaria Alderigo Cassanelli
    Guardia Ausiliaria Alessandro Castellari
    Guardia Ausiliaria Raffaele Dal Bue
    Guardia Ausiliaria Angelo Giubbolini
    Guardia Ausiliaria Guerrino Gozzi
    Guardia Ausiliaria Nando Montorri
    Guardia Ausiliaria Silvio Moscardini
    Guardia Ausiliaria Luigi Piana
    Guardia Ausiliaria Riccardo Luigi Quadrelli
    Guardia Ausiliaria Tullio Tripoli
    Guardia Ausiliaria Livio Varagnoli
    Guardia Ausiliaria Enrico Visciano

    Per dovere di cronaca – ma solo solo per quello – Nello Pini, il “comandante Nello”, fulgido esempio di virtù morali e convinto assertore del rispetto dei diritti umani venne fucilato dai suoi stessi compagni pochi giorni dopo, il 31 luglio, dopo che il Comando partigiano ne aveva ordinato l’arresto in quanto diventato elemento incontrollabile alla luce di torture di prigionieri, fucilazioni sommarie e insofferenza agli ordini ricevuti.

    E, sì, anche per la strage di Montefiorino.

    Per la Redazione Cadutipolizia: Gianmarco Calore

    Edited by giacal - 17/9/2023, 11:43
     
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