POLIZIA NELLA STORIA

Posts written by giacal

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    È proprio questo il problema: si cercò di far passare quei fatti per una sorta di kermesse popolare, roba da sagra paesana. Anche a livello politico alcune forze di maggioranza cercarono di minimizzare gli avvenimenti criticando addirittura quella che fu definita una “eccessiva dimostrazione di muscolatura dello Stato”.
    Ci fu invece chi ci morì.
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    Così venne impostata la difesa della guardia Celani.
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    L’AMORE OLTRE LA GUERRA
    di Gianmarco Calore



    Questa è una storia che si racconta davanti al caminetto durante le fredde serate invernali, quando la neve cade copiosa e il vento ulula alle finestre.
    E’ una storia di quelle che scaldano il cuore.
    E’ una storia vera.

    E’ la storia di Francesco Calleri, ventisettenne guardia della Polizia Repubblicana in servizio alla questura di Milano. Uno dei tanti militari caduti durante la guerra e dei quali non resta nulla, se non uno sterile certificato di morte che non lo degna nemmeno di una data precisa di scomparsa: solo novembre 1944.

    Era originario di Viterbo, il giovane Francesco. Anche lui arruolatosi in Polizia assieme a tanti altri giovani. Per senso dell’onore? Per uno stipendio sicuro? Per trovare comunque un lavoro che aiutasse papà Paolo e mamma Penelope a mettere insieme un pezzo di pane e una crosta di formaggio? Questo non lo sapremo mai.

    La sua storia è legata misteriosamente ad una ragazza di cui non si conosce nulla, nemmeno il nome, ma solo che – forse – era ebrea. Sembra una saga celtica, questa storia tormentata: in essa lo spettatore si muove come in una stanza buia rischiarata da una piccola candela che non riesce mai ad illuminare ogni angolo.

    Nell’ottobre 1944 tra le montagne della Valtellina – precisamente in località Banchelle di Sondrio – viene rinvenuto un cadavere di una giovane donna accoppata a colpi di roncola. Tre colpi alla nuca secchi, precisi, letali. I vecchi in paese affermano che la ragazza voleva riparare nella vicina Svizzera per sottrarsi alle leggi razziali che stavano riempiendo file interminabili di vagoni ferroviari destinati ai campi di sterminio tedeschi. Per questo, mossa da un istinto animalesco di disperazione, si era ingenuamente affidata ad un gruppo di gente di malaffare che le aveva assicurato un aiuto, garantendole invece solo una terribile morte.

    Il fatto scuote l’intera tranquilla vallata: qui la guerra è ancora lontana, come i nazisti e gli orrori che portano con loro: la Repubblica Sociale Italiana offre un ultimo, fallace baluardo di protezione. C’è solo qualche gruppo di partigiani che scorrazza per le montagne, gente conosciuta da tutti e per questo garanzia di tranquillità. I Carabinieri del luogo vengono subito interessati: come da prassi, notiziano anche la Questura di Sondrio e il Commissariato di Lecco. Le indagini non portarono a nulla di concreto e il caso venne frettolosamente archiviato.
    La notizia del delitto arriva fino alle orecchie di Francesco Calleri. Come, non si sa. Cosa lo lega alla ragazza? Cosa lo spinge a partire per la Valtellina con in tasca solo un biglietto tramviario di Milano e uno ferroviario di andata e ritorno?

    Non vi sono elementi certi che legano il giovane militare alla ragazza, qui la candela dello spettatore non arriva ad illuminare: oltre l’alone di luce si intravedono solo fuggevoli ombre che si fanno beffe di lui. Ma una sensazione penetra nel cuore come solo una dolce stilettata di amore puro e sincero riesce a fare: Francesco e la giovane si amavano. Nemmeno Shakespeare, in questo moderno “Romeo e Giulietta”, sarebbe potuto arrivare a tanto: dove si erano conosciuti, i due? Cosa si erano detti, che progetti avevano? Nessuno lo sa.

    Francesco arriva in Valtellina un giorno dei primi di novembre del 1944. Forse si è preso una licenza apposta. In paese, il “forestiero” inizia a fare domande e – forse – a scontrarsi con molti “non so”. Ma non demorde. La sua presenza infastidisce qualcuno che sa la verità, impaurendolo. E così come è arrivato, altrettanto improvvisamente Francesco sparisce. Nessuno si chiede dove sia andato, probabilmente – dicono – sarà tornato da dove è venuto. Ma a Milano il militare non si ripresenta in servizio. Il suo nome viene inserito nella lunghissima lista di dispersi che una guerra insensata continua ad alimentare quotidianamente.

    Ma un giorno del 1947 in Valtellina, in località Banchelle – monte di Trivigno, nei pressi di una postazione militare dismessa a quota 1700 metri un uomo vede affiorare dal terreno gelato la punta di due scarponcini. Dà l’allarme e i Carabinieri riesumano il corpo sfatto di un uomo, reso irriconoscibile dall’incedere inesorabile della natura e frettolosamente sepolto da mani assassine. In tasca trovano due biglietti di trasporto pubblico e i resti di una tessera di cartone verde: “Polizia Repubblicana”, si legge. E un nome: Francesco Calleri.

    Non ci sono elementi oggettivi a suffragio di quanto vi ho raccontato. Non ci sono testimonianze dirette, solo una fitta coltre di mistero che avvolge questa leggenda e che contribuisce a renderla perciò più vera. Ma in un periodo della nostra storia come quello, in cui l’odio e la violenza erano assunti a consuetudine, è ancora bello credere a una favola come questa, che trasmette commozione per due vite che il destino potrebbe avere fatto incontrare e che sicuramente ha accomunato nel momento della morte.
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    La guerra è finita da pochi mesi, le città italiane sono ancora in parte piene di cumuli di macerie a causa dei bombardamenti.
    Nonostante Roma sia stata liberata il 4 giugno 1944, la città è ancora l'ombra di se stessa: spariti i fasti artificiosi del Ventennio, rimangono miseria, fame, povertà.
    E delinquenza.
    Si tratta naturalmente di una delinquenza "da sopravvivenza", non per questo meno pericolosa di altre forme perniciose: a farla da padrone è ancora la borsanera, ma anche bande di ladri dediti al furto di qualsiasi cosa, dal ferro all'oro, dai soldi al cibo.
    La Polizia del tempo rispecchia questo scenario apocalittico: i pochi sopravvissuti agli eventi bellici devono controllare un territorio immenso; sono senza mezzi, con poche armi e con un'organizzazione gerarchica assolutamente primitiva. Si fa tesoro di tutto ciò che si riesce a recuperare: i più fortunati hanno qualche Harley & Davidson e un paio di gipponi Dodge o qualche Willys residuati bellici; i meno fortunati devono muoversi su scalcagnate biciclette oppure sul cavallo dei loro pantaloni.
    Come sempre la rivista "Crimen" - vera cornucopia di informazioni preziosamente segnalata da Flavio Dalla Libera - tratteggia brevemente questa situazione attraverso uno scatto coraggioso verso questi uomini che stanno dando il meglio di loro per difendere la popolazione.
    Emerge un dato storico molto importante: nella città di Roma, tra la fine del 1944 e tutto il 1945 si sente parlare di "1°, 2°, 3°, 4° Reparto Celere". Le diciture non devono trarre in inganno: non si tratta dei futuri reparti inquadrati, creati da Scelba a partire dal 1947. Si tratta invece di una nomenclatura che corrispondeva a una prima, spartana suddivisione in zone della città. Di questo aspetto non abbiamo mai trovato traccia prima d'ora nelle circolari ministeriali: ce lo offre in modo assolutamente inedito proprio questa rivista nell'articolo pubblicato sul numero 6 del 1946 che trascriviamo qui sotto!


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    CENTRO CHIAMA PATTUGLIA Z!


    Questa è la breve storia di novanta uomini, tre macchine e otto moto. Tale era la forza del 1° Reparto Celere nel giugno del 1944. A quel tempo le rapine, i furti, gli omicidi riempivano le veline della Questura Centrale ed i cronisti dei quotidiani non trovavano più spazio per i fattacci da mettere in seconda pagina. Allora non si parlava che dell'attività criminale di questa o di quella banda e troppo spesso l'uomo della strada si domandava: "Esiste dunque una Polizia?"
    La Polizia esisteva. Novanta uomini, tre macchine, otto moto. Questo era il vero servizio dell'ordine che di notte usciva a perlustrare le vie della città. I commissariati non avevano ripreso in pieno ritmo il loro delicato lavoro ed i carabinieri non erano ancora organizzati per servizi di pattugliamento notturno. Questi uomini si prodigavano al disopra delle loro forze nella speranza di un domani migliore. Molto spesso le macchine erano inefficienti ed i servizi di pattugliamento erano portati a termine in bicicletta o a piedi. Con l'avvicinarsi dell'inverno la situazione divenne addirittura disperata causa la mancanza di mezzi e materiale. Ma gli uomini del Reparto Celere non si persero di coraggio e continuarono fiduciosi nella loro opera intesa a stroncare quanto più possibile la delinquenza che a quel tempo dilagava in maniera allarmante.

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    Fu il primo segnale di sirena che segnò il punto di partenza verso una nuova organizzazione dei servizi. La sirena che non molto tempo addietro aveva significato per i cittadini il segnale del terrore e della morte. Così le prime moto passarono urlando come se quella visione gli riempisse gli occhi di gioia vera e profonda. L'effettivo degli uomini si quadruplicò in breve volger di tempo ed altri centri di polizia vennero creati nei punti nevralgici della città. Questi centri presero il nome di I, II, III, IV Reparto Celere. I settori da sorvegliare furono divisi ed i compiti assegnati. Non era più da sorvegliare una data zona o da tenere d'occhio una banda di pregiudicati. Si trattava di una guerra che doveva essere combattuta fino in fondo senza la minima indecisione. Una guerra fatta di appostamenti, di astuzia, di velocità contro gente disposta a tutto pur di sfuggire alle mani della Giustizia.

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    E guerra fu. Si cominciò con l'estendere il controllo delle strade laddove di notte le rapine a mano armata e i ferimenti si susseguivano con una frequenza allarmante. Così le prime jeep in dotazione cominciarono a sfrecciare verso i quattro punti cardinali della città ed ogni punto di accesso venne bloccato e controllato. Molto spesso i delinquenti ben nascosti e bene armati non esitarono ad aprire il fuoco contro le forze dell'ordine. Gli agenti ben sapevano che avevano da fare contro gente disposta a tutto ed un minuto di indecisione poteva costar loro la vita. Così vinceva chi sparava per primo. E quasi sempre gli uomini della Celere colsero nel segno. Questa era la loro grande battaglia.

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    Oggi i quattro Reparti Celere sono nel pieno della loro efficienza e della loro organizzazione. In dotazione ad ognuno di questi Reparti sono state assegnate una ventina di jeep, sei camion, trenta moto. Le camionette si tengono sempre in contatto via radio tra di loro, con le rispettive caserme, con la Questura e con qualche commissariato munito di speciale apparato trasmittente e ricevente. Si capisce facilmente come così l'indice della delinquenza abbia in questi ultimi tempi segnato una fase netta di discesa. I collegamenti radiotelefonici tra camionette in pattuglia, Questura, caserme e commissariati si svolge con una velocità travolgente e molto spesso gli agenti si sono trovati ad arrestare il ladro colto in flagrante. La città è stata divisa in zone che la Questura pensa di assegnare ai Reparti. Gli ordini più importanti vengono trasmessi in codice ai capi-pattuglia per evitare la ricezione da un'altra stazione posta sulla stessa lunghezza d'onda.
    Così di notte la città è percorsa e sorvegliata in lungo e in largo. L'urlo della sirena delle moto echeggia a tratti nel silenzio ovattato delle strade e s'ingolfa tra i palazzi. Ed a chi ancora non dorme questo suono giunge gradito.

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    Categoria: Corpo dei Militi a Cavallo per le provincie siciliane
    Anno: --
    Luogo: --
    Oggetto: cartolina commemorativa
    Fonte: collezione privata
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    Ancora una volta, grazie alla segnalazione di Flavio Dalla Libera , la rivista "Crimen" si rivela uno strumento insostituibile per la scoperta di un nostro Caduto che fino a oggi non risultava censito in nessun database e in nessun sacrario: un "fantasma" che sarebbe probabilmente destinato a restare tale, nonostante all'epoca di inchiostro ne avesse fatto versare, se non altro per le circostanze apparentemente misteriose che riguardarono il suo assassinio.
    Giuliano Caprioli, l'autore dell'articolo - pubblicato sulla rivista numero 34 del 27 agosto 1947 - ci descrive una Roma calda e appiccicosa come dovevano essere quei tempi tormentati, dove a fare bene il proprio lavoro correvi il rischio di lasciarci la pelle per mano di chi magari avevi arrestato tanto tempo prima e di cui ti eri perfino dimenticato.
    Vendette, tradimenti e rancori resi ancora più violenti da una guerra che aveva messo gli italiani con le spalle al muro.
    Seguiamo il cronista in questa triste storia, della quale non conosciamo nemmeno l'epilogo giudiziario.


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    L'ASSASSINIO DELL'AGENTE DE SANTIS


    Sono da poco passate le 23 e a Roma via Tembien, che è una strada periferica, è deserta. Ogni tanto passa un'auto, un saettar di vivida luce e di nuovo il silenzio a volte rotto dal frinire delle cicale. Non trascorrono cinque minuti che una nuova auto appare ancora saettar di vivida luce e silenzio. Qualcuno potrebbe anche credere che la vita notturna in quel punto vada avanti così fino al mattino. Ma ecco, netta, precisa la smentita: un colpo di rivoltella rintrona secco e le cicale smettono di botto di cantare.
    Dal colpo alle prime voci che si levano nell'oscurità passano soltanto alcuni minuti. Sono voci di un uomo e una donna. La donna dice: "E' stato commesso un delitto là, dietro quel muretto! Correte, forse è ancora vivo. Mamma mia, adesso sono davvero nei pasticci!". E l'uomo: "Si calmi, signora. Ho sentito il colpo. Vado io a vedere: lei non si muova...".
    A rapidi passi il casellante, poiché si tratta di un guardiano del cantiere Sciaccaluga - Mezzacane, si dirige verso il luogo indicato e ha appena il tempo di vedere due ombre dileguarsi sul lato sinistro della strada. E' sul punto di dare una voce, ma le sue parole gli si bloccano in gola alla vista di un uomo disteso vicino a un muretto e ripiegato su di un fianco. Da sotto il corpo dell'ucciso si allarga di secondo in secondo una macchia scura. Non c'è altro da fare che chiamare la polizia.
    Agenti e funzionari arrivano poco dopo. In quel tratto la strada è buia, ma i potenti fari di due macchine illuminano il cadavere. L'uomo viene rivoltato ed appare con gli occhi aperti e la bocca socchiusa, imbrattata di terra. Il volto che è quello di un ragazzo sui venticinque anni manifesta una grande sorpresa, come di chi colpito all'improvviso e all'insaputa. Infatti egli risulta ferito alla spalla sinistra da una pallottola che deve aver provocato all'interno un'emorragia polmonare. Dunque, una morte quasi istantanea, dicono alcuni nuovi arrivati. Altri frugano nelle tasche del morto, il quale viene riconosciuto per l'agente di P.S. Paolo De Santis, di anni 27, del V° Nucleo.
    A tale riconoscimento funzionari e agenti stringono le labbra. Non è affare da poco: un poliziotto è stato ucciso a tradimento, colpito alle spalle in maniera vile. In delitto da non restare impunito. Per un momento nessuno parla, gli uomini in gruppo stanno attorno al cadavere ormai arrossato di sangue e illuminato dalla luce fredda dei fari delle macchine. Bisogna pur fare qualcosa, ma il silenzio della notte è profondo e sembra che nessuno abbia il coraggio di romperlo. Di lontano s'ode il fischio di un treno che s'allontana verso la campagna.
    Poi s'azzardano le prime parole. Un agente dice: "E' proprio lui: lo conoscevo, eravamo amici. Ragazzo in gamba! Quei farabutti non gli hanno nemmeno dato il tempo di difendersi... Ma come mai si trovava da queste parti!"
    La storia ricalca a meraviglia la sequenza di quei film americani a sfondo giallo, nei quali un giovane agente viene ucciso dei compagni sono attorno a lui, in silenzio e stringono le labbra. Non possono fare altro che stare zitti, in gruppo, prima che l'incanto venga spezzato dalla voce metallica dell'ispettore il quale dice: "Svegli, ragazzi! Non ci debbono scappare! Questo è per noi un impegno d'onore!"
    Il guardiano subito interrogato afferma di essere stato avvertito da una donna la quale si è immediatamente allontanata verso il fondo della strada. Non è trascorsa un'ora che la donna viene rintracciata ed identificata: si chiama Giuseppina Fraschetti in Taddei di anni 33.
    La Fraschetti, interrogata, fornisce la seguente versione. "Conoscevo il De Santis da qualche tempo e avevo per lui della simpatia. Verso le sette di questa sera sono uscita di casa insieme a mia sorella, abbiamo fatto delle spese, poi sola mi sono recata all'appuntamento, da Paolo. Abbiamo trascorso un paio d'ore a passeggiare. Più tardi ci siamo lentamente incamminati verso via Tembien, ed egli in un punto scuro ha incominciato a farsi ardito. Io non volevo, ma non ho avuto nemmeno il tempo di protestare che un colpo è risuonato dietro a un muretto a noi di fronte. Ho subito pensato a qualcosa di vetro caduto dall'alto ed istintivamente mi sono stratta a Paolo, l'ho visto spalancare gli occhi, aprire la bocca e cadere a terra come un masso. Per qualche secondo non ho avuto la forza di muovermi, alla fine ho incominciato a correre e dopo pochi metri mi sono imbattuto in un uomo al quale ho raccontato il fatto. Subito dopo sono fuggita. Non ho trovato il coraggio di rimanere in quel luogo per il terrore di fare la fine di Paolo".
    Versione poco attendibile che fa scuotere la testa al funzionario che ha incominciato a occuparsi del caso. Un agente di polizia non viene ucciso per giuoco, senza nessuna ragione. Le indagini hanno inizio la sera stessa del delitto, domenica 17. Venne per prima chiamata la sorella della Fraschetti la quale fornisce una versione che per certi punti fortemente contrasta con quella della fermata. Poi sorge all'improvviso l'interrogativo. L'agente De Santis si era recato dalla Fraschetti per ragioni inerenti al suo servizio oppure il suo era un semplice convegno amoroso? La polizia è per la prima ipotesi in quanto a conoscenza dello spirito d'iniziativa e di coraggio che distingueva il giovane investigatore nelle indagini. Allora! Si tratta forse di una vendetta della malavita? Qual era la pista che seguiva ultimamente il De Santis?
    Il dott. Fini del commissariato dal quale dipendeva l'agente riferisce al capo della Mobile che ha incominciato ad occuparsi della faccenda una lunga storia nella quale figurano due delinquenti da tempo arrestati per omicidio. A quell'operazione prese parte il De Santis che in particolare modo si distinse per l'intelligenza di sue particolari indagini. La storia è abbastanza complicata, ma noi cercheremo di riportarla nella maniera più chiara.

    Alcuni mesi fa nelle vicinanze di Nola fu rinvenuto nascosto in un cespuglio fiancheggiante un sentiero fuori mano il cadavere di un uomo dalla apparente età di 35 anni, discretamente vestito, colpito alla testa da un proiettile sparato quasi a bruciapelo da una rivoltella automatica calibro 7,65. I carabinieri del luogo, avvertiti dopo tre giorni, iniziarono le indagini tendenti al riconoscimento dell'ucciso. Soltanto dopo qualche giorno fu possibile accertare la sua identità: Augusto Sorrentino di anni 32, napoletano, di professione autista.
    Mentre le indagini dei carabinieri continuavano si verificò a Roma, precisamente in via Nomentana, una rapina ai danni della signora Spada abitante in un ben arredato appartamento. Due malviventi, qualificatisi per agenti di P.S., bussarono alla porta della signora con il pretesto di compiere un accertamento. Una volta nell'interno, i due, estratte le armi, si gettarono sulla Spada e la imbavagliarono. Quindi con calma asportarono dall'appartamento tappeti, argenteria, biancheria e gioielli, il tutto per qualche milione di lire. La signora Spada denunciò il fatto al commissariato di Porta Pia e le indagini ebbero inizio. Fu facile accertare che i malviventi si erano portati in via Nomentana a bordo di un'auto Fiat del tipo 1100 colore nero. Il portiere dello stabile, interrogato, disse di non aver visto nessuno e cadde più di una volta in contraddizione. Affermò poi che i due dalla parlata gli erano apparsi settentrionali mentre altri testimoni - e per prima la Spada - dissero che i rapinatori avevano una parlata meridionale. Questo indusse la polizia a restringere il campo delle sue ricerche intorno al Taddei e alla di lui moglie Giuseppina Fraschetti. Furono sempre interrogati separatamente ed alla fine dopo estenuanti interrogatori il Taddei confessò la sua partecipazione al grave fatto facendo in pari tempo il nome dei rapinatori: Antonio Basileo di anni 31 e Umberto Minnucci di anni 26, entrambi di Nola. Da notare che la moglie del portiere Taddei, la Fraschetti, si mantenne sempre sulla negativa, non ammettendo i fatti che la polizia tentava addebitarle. Fu lasciata andare perché il funzionario non trovò precisi capi d'accusa per trarla in arresto.
    Non rimaneva così che catturare i due delinquenti. Rapidamente la polizia si recò nei pressi di Nola e dopo qualche appostamento riuscì a trarre in arresto il Basileo e il Minnucci i quali vennero trovati in possesso di una pistola automatica del calibro 7,65 mancante di un colpo. Gli arrestati non seppero dare una spiegazione convincente sull'arma in loro possesso e soltanto dopo qualche giorno l'agente De Santis che aveva partecipato all'azione incominciò a indagare a fiondo su un'eventuale responsabilità dei due sull'uccisione dell'autista Augusto Sorrentino avvenuta qualche mese addietro nelle vicinanze di Nola. Una perizia balistica accertò che la morte dell'autista fu provocata da un proiettile uscito dalla pistola sequestrata al Basileo e al Minnucci. I due furono a lungo interrogati ed è chiaro che il delitto fu compiuto con fredda predeterminazione al fine di prendere possesso della millecento del povero autista. A domanda del funzionario il quale cercava di ricostruire con esattezza i fatti, il Basileo rispose con cinismo cercando di allontanare i sospetti della polizia. Ma il suo compagno ammise in parte i fatti, affermando ad un certo punto che la macchina serviva assolutamente per arrivare fino a Roma e compiere così la rapina ai danni della signora Spada con la complicità del portiere Taddei.
    Questi i fatti accaduti poche settimane fa. La sera di domenica 17 viene rinvenuto vicino a un muretto di via Tembien il cadavere dell'agente Paolo De Santis il quale attivamente collaborò alle indagini che portarono all'arresto del Basileo e del Minnucci. Il De Santis al momento in cui fu ucciso a tradimento era in compagnia di Giuseppina Fraschetti, moglie di quel Taddei arrestato per complicità nella rapina ai danni della signora Spada.

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    Le indagini che dovranno condurre alla cattura degli uccisori dell'agente Paolo De Santis vengono condotte con la massima energia dal nuovo capo della Squadra Mobile, dott. De Stefano. E' chiaro che l'investigatore è stato ucciso per vendetta. La Fraschetti, interrogata per quattro giorni, ammette soltanto ciò che le torna utile e nega gli addebiti che scaturiscono dalle contestazioni. Ha un contegno calmo e a volte quasi provocatorio. Dice di essersi accompagnata con la sorella per oltre due ore prima di recarsi all'appuntamento col De Santis. La sorella e la madre della Fraschetti affermano invece che essa uscì sola, circa mezz'ora prima della sorella.
    A quale punto arriva la responsabilità della donna nel delitto? Fu ella a tendere l'imboscata al coraggioso agente per permettere ai due sicari appostati di sparare con precisione e rapidità. Dunque per eliminarlo bisognava assolutamente distoglierlo, mettergli ai fianchi una donna la quale con le sue arti amorose (la Fraschetti è una giovane e affascinante ragazza) lo conducesse una sera in un posto appartato, deserto. Oppure la donna è del tutto estranea alla faccenda e il marito geloso dal carcere ha mandato due sicari a uccidere l'amante?
    La polizia è per la prima ipotesi, cioè per la diretta responsabilità della Fraschetti nel delitto. Qualcuno ha voluto vendicare la mala sorte toccata al Basileo, al Minnucci e al Taddei e ha fatto fuoco contro un uomo mentre questi gli voltava le spalle. La malavita è fatta così: non reagisce subito al colpo, ma cova l'odio finché viene il momento giusto per agire. Uno vendica l'altro nella speranza di essere un giorno vendicato a sua volta. E tutti sono legati fra loro da una stretta fra massoneria.
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    La scheda di questo sfortunato poliziotto era in origine molto scarna. Gli elementi trovati all'epoca della sua redazione erano scarsi, quasi che la sua storia fosse stata volutamente sottaciuta. E' vero, erano tempi di guerra e in quel dicembre 1944 l'Italia aveva problemi molto più grandi rispetto all'assassinio di una "semplice" guardia di pubblica sicurezza, ancorché avvenuto durante un'operazione di polizia.

    A distanza di tanti anni, grazie al nostro Flavio Dalla Libera , siamo in grado di disporre della ricostruzione fatta poco dopo da parte di "Crimen", una rivista del settore ritenuta da molti "scomoda" per la sua indipendenza di informazione e per i suoi "agganci" in ogni ambiente.

    Riproponiamo la trascrizione dell'articolo pubblicato su "Crimen" n° 15 del 1947 di cui riportiamo anche alcune foto, omettendo di riportare l'intera pagina che ritrae il giovane poliziotto steso a terra.

    Il finale - soprattutto quello giudiziario - non è poi così diverso da quello dei giorni nostri....




    LA BANDA CLEMEN ALLA CORTE D'ASSISE DI BARI


    Innanzi alla Corte d'Assise di Bari sono comparsi, dopo un'istruttoria formale piuttosto laboriosa e complicata, quattro criminali d'eccezione e precisamente Ferraresi Davide di Napoleone da Badia Polesine (Rovigo) di anni 29, Clemen Giannantonio fu Antonio da Trieste di anni 22, Rivano Maurizio di Onorato da Ravenna di anni 22 e Rizziero Marino di Ermenegildo da Foligno di anni 20. Le imputazioni erano di rapina, porto d'armi abusivo, omicidio volontario, etc.
    Ecco i fatti che hanno dato origine all'interessante dibattito. Il giorno 22 dicembre 1944 in Bari, alle ore 11:30 due individui si presentavano alla portineria dello stabile sito in via Quintino Sella n. 37 chiedendo di poter salire nell'abitazione del suddito polacco Marchtyngler Giuseppe fu Abramo di anni 36 da Kirov, asserendo di essere da lui attesi. La portinaia, riconosciuto in uno dei due individui un amico del polacco, già suo ospite per alcuni mesi nello stesso appartamento, non ebbe difficoltà a consegnare la chiave dell'alloggio, specificando che il Marchtyngler era uscito per una commissione ma sarebbe stato presto di ritorno.
    I due, che erano Ferraresi Davide e Clemen Giannantonio, penetrarono così nell'appartamento. Poco dopo il polacco rientrava e il Ferraresi presentò l'amico e precisò i motivi della visita. Non è forse egli debitore verso il Machtyngler di una generosa gratuita ospitalità protrattasi per vari mesi? L'occasione è venuta per ricambiare il favore: "Il conte Clemen che dispone di forti somme di denaro liquido e ha urgente bisogno di sterline d'oro è disposto ad acquistarne un numero piuttosto rilevante a prezzi quanto mai vantaggiosi". Di qui la proposta al Machtyngler che (come era ben noto al Ferraresi) deteneva nella sua abitazione un numero rilevante di sterline d'oro, di cederle.
    L'affare sembrò conveniente al polacco, che da una cassaforte a muro ritirò tutte le sterline disponibili, ossia 200 monete d'oro, deponendole sul tavolo.

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    Il "conte" obiettò che erano poche, che a lui ne servivano almeno 350 senza di che l'affare non aveva per lui alcun interesse. Il Machtyngler si offrì allora di procurarne delle altre; telefonò infatti subito ad alcuni suoi connazionali vicini di casa, i quali dopo pochi minuti si presentarono portando altre 76 sterline d'oro con cui si raggiunse la somma globale di 276 sterline.
    A questo punto il Ferraresi e il Clemen estraggono le pistole e con le armi in pugno fanno indietreggiare tutti i presenti (4 persone) verso il muro, con le braccia in alto, mentre il Ferraresi, qualificandosi commissario di Polizia, richiede per telefono l'intervento di un altro funzionario (il complice Rivano Maurizio) il quale poco dopo si presenta in veste di agente di polizia. Da una valigia il nuovo arrivato estrae una macchina fotografica e una macchina da scrivere. Il Ferraresi ordina seccamente al Rivano di procedere ai rilievi segnaletici e fotografici dei presenti, mentre egli stesso batte a macchina i verbali di sequestro delle sterline.
    Finite queste operazioni il Ferraresi, rivolto al Machtyngler e agli altri presenti, li ammonisce a non denunziare il fatto in Questura in quanto egli, essendo un Ispettore Generale del Ministero degli Interni, agiva direttamente per conto del predetto Ministero. Aggiunse che esclusivamente per la gratitudine che ha verso il polacco, si limita a sequestrare le sterline, omettendo di procedere all'arresto dei responsabili, cosa però che sarà pronto a fare se i presenti non ottempereranno ai suoi ammonimenti e comunque se non si allontaneranno dalla città entro 12 ore. A convalida di ciò, egli esibiva un documento naturalmente falso, attestante la qualifica dichiarata. Dopo di che, rimessa la macchina fotografica nella valigia e richiusa la macchina da scrivere nella sua custodia, i tre malviventi, sempre con le armi in pugno, escono e cominciano a scendere le scale cercando di guadagnare il portone dove il quarto complice, Rizziero Marino, li attende con una carrozza presa a nolo.

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    A questo punto le vittime, che lungi dall'aver creduto a tutte le panzane dei lestofanti, avevano taciuto soltanto per il timore delle pistole puntate, passano al contrattacco. Mentre il Machtyngler urlando a squarciagola insegue per la rampa delle scale i rapinatori, gli altri dal balcone danno l'allarme ai passanti.
    Infatti due agenti di P.S. che si trovavano a passare nelle vicinanze accorrono verso il portone, affrontano animosamente il Clemen e il Ferraresi traendoli in arresto, mentre approfittando della confusione, il Rivano riesce a eclissarsi con le sterline e il Rizzerò fugge con la carrozza.
    Gli agenti che hanno compiuto l'arresto sono Merola Luigi e Cianciosi Roberto, ambedue giovanissimi ma molto coraggiosi. Essi disarmano gli arrestati, sequestrando al Clemen una rivoltella a tamburo carica con sei cartucce e una pistola Beretta calibro nove con sette pallottole al Ferraresi, dopo di che li traducono in questura, accompagnati dal Machtyngler e dagli altri rapinati, tutti in preda a visibile emozione per il rischio subito e per il danno riportato, ove si pensi che al momento del fatto il valore della sterlina oro sul mercato nero locale superava le ottomila lire per unità.
    Giunti in questura, gli arrestati sono accompagnati in un locale antistante gli uffici della "Mobile" e in attesa di essere presentati al Funzionario vengono nuovamente sottoposti a perquisizione personale in presenza dei rapinati. Nella stanza non ci sono che costoro, i due arrestati e i due agenti. Delle armi sequestrate, la pistola Beretta viene trattenuta dall'agente Cianciosi, mentre la rivoltella sequestrata al Clemen dall'agente Merola, avendo la canna molto lunga, viene deposta sull'unico tavolo esistente nel locale. La nuova perquisizione personale ha inizio nel seguente modo. L'agente Cianciosi, facendo tenere le mani alzate al Ferraresi che volge le spalle alla finestra lo perquisisce in tutta la persona, mentre l'agente Merola perquisisce il Clemen, il quale con le mani in alto è in piedi vicino al tavolo sul quale è stata deposta la sua rivoltella. Mentre l'agente Merola si curva per perquisire i pantaloni dell'arrestato in tutta la loro lunghezza, nota un movimento sospetto del Clemen, fa per rialzarsi ma il criminale che ha abbassato rapidamente un braccio e si è impadronito della rivoltella gli esplode un colpo alla tempia sinistra.
    Il povero agente stramazza fulminato sul pavimento mentre il Clemen, rimessa l'arma sul tavolo, riprende la posizione di braccia alzate. Ma il Machtyngler che si trovava alle spalle dell'ucciso ha visto tutto e al processo stabilirà con esattezza come si è svolto il barbaro ed inutile assassinio.
    Le indagini immediatamente esperite dalla Questura di Bari permisero di arrestare ben presto tutti i complici della rapina e di recuperare quasi tutta la refurtiva che, messa a disposizione dell'Autorità giudiziaria, venne in seguito restituita ai rapinati.

    https://upload.forumfree.net/i/ff13309566/CLEMEN3.jpg

    La Corte di Assise di Bari ha erogato le seguenti condanne.
    Il Ferraresi riconosciuto responsabile dei reati di rapina, porto abusivo di armi, ad anni13 mesi 6 di reclusione e mesi 5 di arresto e a lire 35000 di multa.
    Il Clemen (per il quale il P.M. aveva richiesto l'ergastolo) riconosciuto colpevole di omicidio volontario, di rapina e di porto abusivo d'arma da fuoco, ad anni 17 di reclusione, mesi 3 di arresto e lire 15000 di multa.
    Il Rivano Maurizio ed il Rizziero Marino, colpevoli di rapina, rispettivamente ad anni 1 mesi 6 di reclusione e 4000 lire di multa e ad anni 2 mesi 6 di reclusione e lire 6000 di multa.
    Il Ferraresi ed il Clemen sono stati altresì condannati all'interdizione perpetua dai pubblici uffici ed a quella legale durante la espiazione della pena, e ad anni 2 di libertà vigilata.

    Non sta a noi discutere le condanne, ma siamo certi di interpretare l'opinione della grande maggioranza dei lettori, considerandole assolutamente miti soprattutto nei riguardi del Clemen.
    La vita degli agenti di P.S. deve essere tutelata in ben altro modo. In Francia, in Inghilterra, in America l'uccisione di un agente importa quasi sempre la condanna alla pena capitale. Poiché il nostro codice la esclude, riteniamo giustissima la richiesta dell'ergastolo fatta dal Pubblico Ministero, e ci stupisce che tale richiesta non sia stata accolta.
  8. .
    Categoria: Personaggi
    Anno: 1961
    Luogo: --
    Oggetto: set del film "Caccia all'uomo" con l'intervento del cane Dox
    Fonte: Carmen Spatafora, "Il poliziotto con la Ferrari"
  9. .
    Categoria: Personaggi
    Anno: anni settanta
    Luogo: Roma
    Oggetto: il volantino dell'alta scuola di addestramento intitolata a Dox
    Fonte: Marcello Denti
  10. .
    Categoria: Numeri di emergenza
    Anno: 1965
    Luogo: Padova
    Oggetto: presentazione del numero di emergenza prima dell'arrivo del 113
    Fonte: Il Resto del Carlino, febbraio 1965
  11. .
    Categoria: Personaggi
    Anno: 1948
    Luogo: Milano
    Oggetto: gruppo di appartenenti alla "mobile" milanese, tra i quali il commissario Nardone
    Fonte: rivista "Crimen"
  12. .
    Leggere certi articoli con gli occhi di oggi non può che far sorridere.
    Ma, superando per un attimo questa prima impressione e andando oltre, ci si rende conto di come le strade italiane dell'immediato dopoguerra fossero veri e propri far-west, dove le pistole dettavano legge e in cui le diligenze venivano assaltate quotidianamente da bande di delinquenti pronti a tutto.
    La rivista "Crimen" fu un'attenta osservatrice dei principali fatti di cronaca, co n particolare attenzione per le vicende poliziesche che venivano raccontate con semplicità, ma anche con precisione. E la costituzione della Polizia Stradale come specialità non passò inosservata. Nic Guglielmi, autore dell'articolo che trascriviamo e pubblicato sul numero 5 del febbraio 1947, ci conduce lungo queste strade.
    Buona lettura!


    crimen1

    Tre mesi fa quell'automobilista che avesse osato avventurarsi di notte sulla Casilina, sulla Appia, sull'Aurelia, sarebbe stato ritenuto un temerario o un incosciente. Le bande armate avevano spinto la loro audacia fino ad operare alla immediata periferia della Capitale e, quando il bottino ricavato dalle aggressioni in periferia risultava magro, la banda estendeva il suo campo di operazioni fino in città. Le cronache dell'anno scorso sono ricche di fattacci di questo genere, consumati talvolta in pieno centro ed in ore non precisamente piccole!
    Il 1° novembre 1946 il Questore di Roma ricostituiva la Sezione motorizzata della Polizia Stradale per la provincia. Un centinaio di agenti abilissimi motociclisti che stavano ammuffendo nei vari commissariati (le varie razzie belliche li avevano privati delle loro fide Guzzi) venivano riforniti di una cinquantina di Harley-Davidson, di una quindicina di Triumph e di alcune Ariel. Quattro jeeps e quattro Dodges con radio ricevente e trasmittente completavano la dotazione motorizzata della Sezione.
    "Giovani entusiasti, saldati alle loro macchine, per i quali la massima punizione consiste nel lasciarli inoperosi per un'intera giornata", ci confida un maresciallo.
    I risultati ottenuti da questi coraggiosi ragazzi in meno di tre mesi sono sorprendenti. Il traffico sulle vie consolari è ridiventato normale di giorno e di notte. I gangsters della strada si sono volatilizzati. Gli autisti fermati dai motociclisti della "Stradale" sorridono compiaciuti anche se li attende una contravvenzione. Essi sanno che ormai, con questi angeli custodi onnipresenti, possono viaggiare tranquillamente.
    All'alba pattuglie di motociclisti si dirigono a tutta velocità verso i settori loro assegnati dal comandante della Sezione e si incrociano lungo la salita del Trionfale con le Dodges dei loro colleghi che rientrano dalle perlustrazioni notturne.
    Si fa presto a capre se gli uomini del "gippone" (grossa jeep) hanno fatto buona caccia. Basta guardarli in viso. Sono di buon umore e si fregano le mani, un po' per il freddo, ma soprattutto per la soddisfazione di avere contribuito a ridare lustro a questa nostra polizia così tanto vituperata e trascurata.
    Scendono dalle macchine levando alto il mitra, l'indispensabile fedele compagno delle scorribande notturne.

    crimen2

    Partiamo coi "caschi di sughero". Cervellini, detto "fulmine", terrore dei fuorilegge, l'agente dal lungiodorante fiuto che individua le magagne a 80 chilometri all'ora, conduce la pattuglia. Prima sosta al Tritone. Le due motociclette vengono piazzate al centro della più frequentata via di Roma. Un agente va a destra, un altro a sinistra.
    Il traffico non viene affatto fermato. Con la destra si fa segno alla vettura destinata alla verifica di fermarsi lungo il marciapiede e con la sinistra si fa cenno alle macchine che seguono di proseguire.
    L'autista spalanca gli occhi dallo stupore: da quanto tempo non si verificava più un simile evento? Ormai ognuno faceva il comodo proprio. Le strade della Capitale erano divenute piaghe per le pericolose evoluzioni degli automobilastri.
    Si esaminano i documenti. Su dieci fermati almeno cinque non sono in regola. E le contravvenzioni piovono, dalle 10.000 lire alle trentamila e più.
    Un autista sbuffa.
    "C'è poco da sbuffare. Favorite il libretto!"
    "Ho tutto in regola, il mio padrone ha molta fretta, devo andare a Montecitorio".
    Siamo in piena crisi. Le direzioni dei partiti si riuniscono dieci volte al giorno per prendere dieci decisioni diverse... Si tratta dell'on. Patrissi. Ma l'immunità parlamentare non è estesa alle infrazioni del codice stradale perciò l'agente esamina minuziosamente e con calma il libretto dell'onorevole. Poi lo rende all'automobilista che preme rabbiosamente sull'acceleratore mentre Patrissi si sporge dal finestrino per stringere la mano all'agente. Non si sa se per congratularsi con il tutore dell'ordine per l'esecuzione rigorosa del suo dovere o se per un eventuale scampato pericolo.
    Lo stesso pericolo che invece non servì a evitare la signorina Maria De Gasperi qualche giorno prima del suo viaggio che si concluse con una contravvenzione di 20000 lire alla sua macchina. Probabilmente quando la signorina De Gasperi, volando verso le Azzorre, dimenticava per un istante i problemi diplomatici paterni e si ricordava del riuscito colpo di mano effettuato dall'erario sui suoi risparmi, si rallegrava che fra l'azzurro della volta celeste e il bianco delle nubi non transitasse nessun "pizzarde motorizzato" - come dicono a Roma - si sarebbe potuta pagare il lusso di fermare con un imperioso gesto della mano il poderoso Dakota per verificare i documenti dei passeggeri!
    Ma quando in questi giorni avrà appreso dai giornali l'ecatombe dei Dakota si sarà detta che è mille volte preferibile essere fermati con un gesto della mano e pagare contravvenzioni piuttosto che evitarle, staccandosi con le ruote della vettura sta questa vecchia ma pur sicura crosta terrestre.
    Altre pattuglie stanno contemporaneamente agendo in altre vie principali della città. La verifica non dura più di mezz'ora. Poi le pattuglie abbandonano il centro e si dirigono alla periferia e infine nelle strade consolari.
    Siamo sulla Appia. I camion vengono fermati quasi tutti. Le contravvenzioni piovono. Si verificano i documenti e la merce trasportata. Qui è la guerra alla grossa borsa nera. Quintali di riso, tonnellate di benzina vengono confiscati e i trasportatori denunciati.
    Quando fonti fiduciarie riferiscono al Comando che in determinati luoghi, fuori città, sono ammassati generi di contrabbando, la "Stradale" piomba sul posto e rastrella. La caccia più spietata è fatta ai detentori di armi.

    crimen3

    Ad un certo momento la pattuglia dei motociclisti è raggiunta da una Dodge. Il radiotelefonia del "gippone" ha ricevuto una segnalazione dalla trasmittente della Questura centrale: "Un autocarro è stato rubato e si presume si accinga senza targa a lasciare Roma. Attenzione! I ladri sono armati!"
    Gli agenti tirano fuori le pistole e intensificano la verifica dei camion. Entro un'ora dalla segnalazione l'automezzo viene restituito al padrone.
    Qualche mese fa i ladri, per nulla intimiditi dalle pistole, avrebbero certamente impegnato una dura battaglia e non si sarebbero fatti disarmare come due agnellini dagli agenti. E' il prestigio della polizia che risale nella stima degli stessi banditi.
    Hanno l'aria decisa e irremovibile questi ragazzi della "Stradale" e valgono tanto oro quanto pesano! Difatti sapete quanto denaro frutta allo Stato questo manipolo di agenti della Sezione della provincia di Roma? Quaranta milioni al mese. Altro che SISAL!

    Nic Guglielmi
  13. .
    Categoria: Controllo del territorio
    Anno: 1947
    Luogo: Sicilia
    Oggetto: pattuglione antibanditismo
    Fonte: archivio Getty
  14. .
    Categoria: Controllo del territorio
    Anno: 1961
    Luogo: Vipiteno
    Oggetto: pattuglie del Raggruppamento Mobile "Alto Adige" durante il servizio di contrasto al banditismo separatista
    Fonte: archivio Getty
  15. .
    Categoria: Controllo del territorio
    Anno: 1949
    Luogo: Sicilia
    Oggetto: una pattuglia dopo un conflitto a fuoco con un malvivente che è rimasto ucciso
    Fonte: archivio Getty
424 replies since 17/11/2019
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